Ue, la direttiva case green va modificata dal nuovo europarlamento


L’8 e il 9 giugno i cittadini italiani parteciperanno a una tornata elettorale importante.

Che cosa aspettarsi? Ma, soprattutto, a che cosa aspirare? L’esperienza di decenni di vita delle istituzioni europee ci insegna che molte delle minacce che incombono sui proprietari di immobili, e numerose delle norme che già li opprimono, provengono da Bruxelles.

Per l’Ue il risparmiatore immobiliare deve essere vittima sacrificale

La quotidiana alleanza fra ideologia, demagogia e interessi materiali conduce molto di frequente all’approvazione di provvedimenti che individuano nel risparmiatore immobiliare la vittima sacrificale.

Gli esempi potrebbero essere tanti, ma soffermarsi sull’ultimo in ordine di tempo, quello della direttiva sull’efficientamento energetico degli edifici (cosiddetta «case green»), consente di svolgere considerazioni di stringente attualità.

La storia è nota. Dal 2021 la Confedilizia ha condotto una battaglia pressoché solitaria nei confronti di un provvedimento sbagliato in sé ma particolarmente pericoloso per l’Italia.

Ora tanti occhi si sono aperti, tante coscienze si sono svegliate, tante menti si sono liberate: su questa direttiva e sull’intero Green Deal europeo, nel cui contesto il provvedimento si inquadra.

Tardi? Sicuramente. Troppo tardi? Forse no. Nulla è immutabile, neppure il Green Deal della Ue.

A che cosa servono, le elezioni europee, se non a dare proprio un segnale di forte, convinta e totale discontinuità con le politiche che hanno caratterizzato gli ultimi cinque anni?

Meloni: ci siamo battuti contro la direttiva sulle ‘case green’. Chi paga?

In questo senso, le parole pronunciate a Pescara, il 28 aprile, dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sono confortanti:

«Chiediamo un approccio pragmatico, non ideologico, non dirigista, aperto al mercato, aperto all’innovazione.

Sono gli stessi principii che abbiamo difeso quando ci siamo battuti contro la direttiva sulle ‘case green’.

Una direttiva pensata malissimo, senza tenere conto di alcuna specificità. Siamo riusciti a ottenere risultati molto importanti.

Ora ogni Governo avrà due anni di tempo per predisporre un piano nazionale per la riduzione delle emissioni inquinanti degli edifici e sono due anni che noi vogliamo utilizzare per provare a cambiare una normativa che rimane ancora molto, troppo sbilanciata e che per essere ragionevole deve a monte rispondere a una banale domanda: chi paga?».

Il nuovo europarlamento deve lavorare per modificare la direttiva

È l’impegno che chiedevamo, e che hanno assunto tutti e tre i partiti della maggioranza (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia), in coerenza col dissenso espresso dai rispettivi rappresentanti nel Parlamento europeo: non subire il testo appena approvato, col voto contrario del Governo italiano, bensì lavorare per modificarlo.

Ma auspichiamo che anche i partiti all’opposizione in Italia considerino i pericoli del provvedimento.

L’8 e il 9 giugno occorre dire no al dirigismo, no all’ideologia ambientalista (che è cosa ben diversa dall’attenzione all’ambiente), no ai reiterati inviti della Commissione ad aumentare la tassazione patrimoniale sugli immobili. Per poi iniziare a dire sì al buon senso.

* presidente Confedilizia

Superbonus, cosa cambia? Detrazione al 30% dal 2028 confermato lo spalma-crediti in 10 anni – le novità


Dal 2028 arriverà una stretta per le agevolazioni per il recupero del patrimonio edilizio e riqualificazione energetica degli edifici.

L’emendamento del governo al decreto Superbonus stabilisce infatti che per le spese agevolate sostenute dal primo gennaio 2028 al 31 dicembre 2033 l’aliquota di detrazione venga «ridotta al 30 per cento».

I lavori esclusi

Sono esclusi gli interventi di sostituzione del gruppo elettrogeno di emergenza esistente con generatori di emergenza a gas di ultima generazione, per i quali la detrazione resta del 50%.

Attualmente per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2024, l’aliquota agevolativa è fissata al 50%, con un tetto massimo di spesa di 96.000 euro, ma dal primo gennaio 2025 si tornerà all’aliquota del 36% delle spese sostenute, nel limite massimo di spesa annuale di 48.000 euro per unità immobiliare. 

Il meccanismo

La legislazione vigente si legge sempre nel testo dell’emendamento bollinato dalla Ragioneria prevede la fruizione per tali detrazioni in quattro rate di pari importo, ed un’aliquota pari al 70% per il 2024 e al 65% per l’anno 2025.

Ai fini della stima sono stati considerati l’ammontare di detrazioni fruibili per l’anno 2024 pari a circa 6.211 milioni di euro e per l’anno 2025 pari a circa 5.780 milioni di euro, scontati nelle previsioni di Bilancio.

L’estensione della detraibilità a dieci rate rispetto alle vigenti cinque rate delle spese per interventi di rafforzamento di misure antisismiche per l’anno 2024, sarà modulata secondo le aliquote del 50%, 70%, 80%, 75%, 85%.

Alle spese relative agli interventi finalizzati al superamento e all’eliminazione delle barriere architettoniche su edifici (già esistenti), si applicherà l’aliquota del 75%. 

Norma anti-usura

Prevista anche una norma anti-usura. Banche, assicurazioni e intermediari che abbiano acquistato i crediti a un corrispettivo inferiore al 75% a partire dall’anno 2025, dovranno applicare a queste rate la ripartizione in sei quote annuali di pari importo: le rate dei crediti risultanti dalla nuova ripartizione non possono essere ripartite ulteriormente, oppure cedute.

La norma vale per i crediti generati a partire da maggio 2022.

Fondo eventi sismici

Un fondo eventi sismici da 35 milioni di euro per l’anno 2025, al fine di sostenere gli interventi di riqualificazione energetica e strutturale realizzati su immobili danneggiati dagli eventi sismici verificatisi a partire dal 20 maggio 2012.

E’ quanto prevede l’articolo 1-bis introdotto con l’emendamento del Governo al Dl Superbonus bollinato dalla Ragioneria e presentato questa notte in commissione Finanze del Senato.

L’articolo riporta anche l’elenco dei territori colpiti da eventi sismici coperti dal fondo (tra questi Emilia-Romagna-Lombardia 2012; Ischia 2017; Molise 2018).

Controlli dei Comuni, ritorno del 50% somme

I Comuni potranno svolgere attività di vigilanza e controllo nei cantieri in cui si effettuano lavori con il Superbonus.

Lo prevede l’emendamento del governo. I Comuni, qualora nell’ambito delle attività di vigilanza e di controllo previste in materia edilizia, rilevino «l’inesistenza, totale o parziale, degli interventi», lo dovranno segnalare agli uffici della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle entrate.

La norma «potrebbe determinare un incremento dell’attività di controllo delle agevolazioni da Superbonus», evidenzia la Relazione tecnica, «con il conseguente aumento dell’azione di contrasto alle frodi e il disconoscimento delle indebite agevolazioni fiscali».

Ai Comuni che effettuano le segnalazioni verranno applicate le disposizioni in materia di partecipazione degli stessi all’accertamento fiscale e contributivo, incentivando la loro partecipazione con il «riconoscimento di una quota delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo nonché delle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi riscossi a titolo definitivo», spiega la Relazione tecnica, precisando che questa «quota, inizialmente prevista in misura pari al 33%, è stata innalzata al 50%».

Proroga due anni sugar e plastic tax al 2026

C’è anche l’ennesima proroga di due anni per plastic e sugar tax, nell’emendamento del Governo al Dl Superbonus bollinato dalla Ragioneria e presentato questa notte.

In entrambi i casi, il differimento è dal 1° luglio 2024 al 1° luglio 2026. Nel caso della plastic tax, l’emendamento interviene sull’articolo 1, commi 634-652, della legge 160 del 30 dicembre 2019.

Superbonus, Pucci (Uppi) 80% condomini a rischio causa


 “L’80% dei condomini ancora coinvolti nei lavori del Superbonus tra alcuni anni avranno una causa o nei confronti delle ditte fallite, o dell’appaltatore o dei revisori dei conti, quando dovranno rendere conto all’Agenzia delle Entrate, che fra qualche anno non farà sconti a nessuno, l’Agenzia delle Entrate andrà a prendere gli appartamenti di chi è entrato in modo sciagurato nel Superbonus”.

Lo prevede il presidente dell’Unione piccoli proprietari immobiliari Fabio Pucci a Genova alla convention nazionale per il 50/mo anniversario dell’Uppi.

“Lo Stato italiano come ha potuto dire ‘non solo ti rifaccio la casa, ma ti do anche il 10% in più’, è una follia. attacca Pucci.

Non lo è stata solo nel breve periodo del covid, ma successivamente non è stata una scelta giusta, una scelta che pagheremo con il mercato immobiliare diviso in due dal Superbonus, da un lato quello dei ricchi che si sono rifatti le ville senza problemi, dall’altro quello dei poveri nei condomini”.

Direttiva Case Green in Gazzetta: tutte le scadenze da tenere a mente


Un iter di revisione durato due anni e mezzo quello che ha visto protagonista la Direttiva EPBD “Case Green”.

Molte le novità introdotte in tema di riqualificazioni energetiche, installazione di impianti solari, mobilità sostenibile e smart building.

L’Italia ora avrà tempo fino al 2026 per definire il proprio Piano di Ristrutturazione degli edifici.

Si apre ufficialmente l’epoca delle Case Green. Ieri 8 maggio la Direttiva Europea 2024/1275  sulle Prestazioni energetiche degli edifici, Energy Performance of Building Directive (EPBD) è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.

Trascorsi 20 giorni la norma entrerà in vigore, mentre i singoli Stati Membri avranno a disposizione altri 48 mesi (dall’entrata in vigore) per recepire le disposizioni della direttiva applicandole alla legislazione nazionale.

Il motivo che ha spinto ad avviare una revisione della Direttiva sulle Performance energetiche degli edifici come parte integrante del pacchetto Fit for 55 è sostanzialmente uno: gli edifici sono responsabili del 40% del consumo finale di energia nell’Unione e del 36% delle emissioni di gas a effetto serra associate all’energia.

Di questo patrimonio il 75% è inefficiente dal punto di vista energetico, un problema non indifferente se consideriamo che l’85-95% degli edifici esistenti oggi sarà ancora in piedi nel 2050

Le emissioni del comparto si devono anche al mercato del riscaldamento degli edifici, ancora dominato dal gas naturale che rappresenta circa il 39% del consumo energetico dovuto al riscaldamento degli ambienti nel settore residenziale. Seguono il petrolio, con l’11%, e il carbone, con circa il 3%.

Partendo da queste premesse l’Unione Europea ha deciso di prefissarsi degli obiettivi agendo secondo il motto l’efficienza energetica al primo posto, puntando a massimizzare l’elettrificazione degli edifici e l’uso di energie rinnovabili, nonchè ad aumentare le performance degli involucri per migliorare la qualità della vita dei residenti.

Nuove costruzioni: le scadenze della Direttiva Case Green

Entrando nel vivo del testo pubblicato in Gazzetta ieri, per facilità di lettura, è bene operare una distinzione tra gli edifici di nuova costruzione ed quelli oggetto di ristrutturazione.

Partendo dalla prima categoria le due scadenze da tenere a mente relative alle nuove costruzioni sono:

  • dal 1° gennaio 2028 tutti gli edifici di proprietà degli enti pubblici dovranno essere a Emissioni zero. Si introduce l’obbligo del conteggio del GWP(potenziale di riscaldamento globale-global warming potential) durante il ciclo di vita degli edifici di nuova costruzione con una superficie c.u. superiore a 1000 mq
  • dal 1° gennaio 2030 l’obbligo delle emissioni zero diventa totale per qualsiasi tipologia di nuova costruzione ovvero anche il residenziale così come il conteggio del GWP.

Edifici Esistenti e riqualificazioni: le scadenze della Direttiva Case Green

Ciascuno Stato Membro dovrà adottare misure affinché si arrivi ad una riduzione progressiva del consumo di energia primaria soddisfando i requisiti minimi di prestazione energetica che saranno definiti a livello nazionale, ma valutati dalla Commissione Europea, che avrà comunque il potere di chiedere una revisione del conteggio (articolo 6).

Complessivamente la riduzione dei consumi energetici dovrà provenire almeno dalla ristrutturazione del 55% degli edifici con le prestazioni peggiori. 

Vediamo nel dettaglio le scadenze distinguendo tra comparto residenziale e non residenziale.

Edifici Non Residenziali e Pubblici esistenti

Entro il 2030 si procederà alla ristrutturazione degli edifici non residenziali più energivori diminuendo il consumo di energia primaria del:

  • 16 % a decorrere dal 2030; 
  • 26 % a decorrere dal 2033.

Edifici Residenziali esistenti

Per gli edifici residenziali il consumo di energia primaria dovrà diminuire:

  • del 16% entro il 2030 
  • del 20-22% entro il 2035

La traiettoria nazionale per la ristrutturazione progressiva del parco immobiliare residenziale è espressa come un calo del consumo medio di energia primaria in kWh/(m2a) dell’intero parco immobiliare residenziale partendo quale riferimento dall’anno 2020 e individua il numero di edifici residenziali e unità immobiliari residenziali o la superficie coperta da ristrutturare ogni anno, compreso il numero o la superficie coperta del 43% degli edifici residenziali con le prestazioni peggiori e delle unità immobiliari residenziali. 

Gli edifici esenti dagli obblighi

Saranno esclusi dagli obblighi della Direttiva Case Green gli edifici di particolare interesse culturale o utilizzati con frequenza sporadica. Le esenzioni si applicano a:

  • edifici storici
  • luoghi di culto 
  • edifici di proprietà delle forze armate utilizzati a scopi di difesa nazionale
  • fabbricati temporanei con un tempo di utilizzo non superiore a due anni, siti industriali, officine ed edifici agricoli non residenziali a basso fabbisogno energetico
  • edifici residenziali che sono usati meno di quattro mesi all’anno e con un consumo energetico previsto inferiore al 25 % del consumo che risulterebbe dall’uso durante l’intero anno;
  • fabbricati indipendenti con una superficie utile coperta totale inferiore a 50 mq.

Energia  solare e mobilità green

L’articolo 10 stabilisce che gli Stati Membri dovranno predisporre tutti i nuovi edifici affinché siano adatti ad ospitare impianti per la produzione di energia solare sulla base dell’irraggiamento del sito.

La Direttiva case Green stabilisce che, laddove tecnicamente appropriato ed economicamente e funzionalmente fattibile, si installino impianti solari a progressivamente e a partire dal 2027, sia per le nuove costruzioni che nel caso di ristrutturazioni importanti.

Si partirà con obblighi dedicati agli edifici pubblici e non residenziali di nuova costruzione, inglobando progressivamente anche le altre tipologie.

Le scadenze sono le seguenti:

  • entro il 31 dicembre 2026, dovranno essere installati impianti solari su tutti i nuovi edifici pubblici e non residenziali con una superficie coperta utile superiore a 250 mq;
  • entro il 31 dicembre 2027 dovranno essere installati impianti solari su tutti gli edifici pubblici esistenti con superficie superiore a 2000 mq;
  • entro il 31 dicembre 2027 dovranno essere installati impianti solari sugli edifici non residenziali esistenti con superficie superiore a 500 mq se sottoposti a ristrutturazioni importanti
  • entro il 31 dicembre 2028 dovranno essere installati impianti solari su tutti i Nuovi Edifici Pubblici con superficie superiore a 750 mq;
  • entro il 31 dicembre 2029, su tutti i nuovi edifici residenziali e tutti i nuovi parcheggi coperti adiacenti;
  • entro il 31 dicembre 2030 su tutti gli edifici pubblici esistenti con superficie superiore a 250 mq.

Anche gli aspetti legati alla mobilità elettrica ricadono nello spettro di applicazione della direttiva Case Green.

Gli edifici non residenziali dovranno garantire punti di ricarica per le auto elettriche e predisporre l’installazione di pre cablaggio e canalizzazioni per infrastrutture future e parcheggi per le biciclette elettriche. Anche in questo caso le scadenze saranno progressive a partire dal 2027.

Stop alle caldaie a combustibili fossili

partire dal 2025 non sarà più possibile sfruttare incentivi fiscali per l’installazione di caldaie alimentate a combustibili fossili.

Dal 2040 questi impianti saranno definitivamente esclusi eliminando qualsiasi possibilità di installare caldaie a gas.

Ovviamente questa restrizione va a colpire le nuove installazioni, coloro che in casa possiedono già una caldaia di questo tipo non saranno costretti a sostituirla, tuttavia la loro commercializzazione non sarà più possibile. 

Come precedentemente sottolineato, il 39% del consumo energetico dovuto al riscaldamento degli ambienti nel settore residenziale si deve al gas naturale.

In ottica di decarbonizzazione la Direttiva fa invece leva sulle soluzioni elettriche abbinate alle energie rinnovabili. 

Gli Smart Readiness Indicator 

Una delle novità introdotte nella revisione della Direttiva Sulle Prestazioni energetiche degli edifici è il concetto di Smart Building.

Al fine di valutare il livello di intelligenza dei nostri edifici, la Commissione ha istituito nel 2017 un gruppo di lavoro composto dai principali istituti di ricerca (tra i quali anche ENEA).

Si tratta del primo tentativo di mettere nero su bianco lo Smart Readiness Indicator (SRI), l’indicatore per valutare la predisposizione all’intelligenza degli edifici.

L’obiettivo comune è quello di definire un metro di giudizio e paragone che valuti la connettività delle strutture e la loro predisposizione all’inserimento di soluzioni smart. 

La metodologia considera tecnologie come i contatori intelligenti, i sistemi di automazione e controllo degli edifici, i dispositivi autoregolanti per la regolazione della temperatura dell’aria interna, gli elettrodomestici integrati, i punti di ricarica per veicoli elettrici, l’accumulo di energia nonché le funzionalità specifiche e l’interoperabilità di tali sistemi, oltre ai benefici per le condizioni climatiche degli ambienti interni, l’efficienza energetica, i livelli di prestazione e la flessibilità così consentita.

L’Italia e la Direttiva Case Green: dove siamo e dove dobbiamo arrivare

Attualmente gli edifici rappresentano oltre un terzo delle emissioni di gas serra nell’UE. Secondo le nuove disposizioni entro il 2030 tutti i nuovi edifici dovranno essere edifici a emissioni zero, ed entro il 2050 il patrimonio edilizio dell’UE dovrà raggiungere la totale decarbonizzazione.

Ma per assicurare il rispetto di questi obiettivi, sarà necessario raddoppiare se non triplicare il tasso di rinnovamento attualmente fermo sotto l’1% come media europea.

Nel caso dell’Italia la percentuale scende allo 0,85%, un limite troppo basso se confrontato con il nostro patrimonio edilizio energivoro e vetusto.

Restando nel BelPaese e tracciando un confronto con trasporti e industria, gli edifici sono il settore che ha consumato più energia dal 2008, di cui oltre la metà proveniente da gas naturale.

E’ bene sottolineare però che, a differenza dei due settori appena citati, il comparto edilizio presenta anche la più alta domanda di energia coperta da FER (>20%).

Purtroppo se il trend di riduzione delle emissioni di gas serra resterà pari all’attuale, l’Italia sarà in grado di raggiungere la completa decarbonizzazione solo nel 2.103, ben più in là rispetto al limite fissato dalla direttiva case Green al 2050 (fonte: The European House Ambrosetti)

In Italia, escludendo il patrimonio architettonico storico culturale, l’84,5% degli edifici è stato costruito prima del 1990 e i ¾ risultano ancora in classi energetiche inferiori alla D.

Diventa dunque un passaggio dovuto quello di arrivare alla definizione di un Piano di Ristrutturazione degli edifici che, tenendo fede alle scadenze fissate dalla Direttiva Case Green, dovrà arrivare entro il  31 dicembre 2025.

RAPPORTO DELLE STATISTICHE DI APRILE


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Come eliminare i cattivi odori emanati dal lavello della cucina


Ti è mai capitato di entrare in cucina e essere accolto da un odore sgradevole emanato proprio dal lavello?

Questa è una situazione più comune di quanto pensi, infatti mi è successo proprio qualche giorno fa! Nonostante sia sempre attenta allo scarico del lavello in cucina, da allora ogni volta che lo utilizzo sento sempre un odore quasi nauseabondo.

Per questo ho deciso di prendere in mano la situazione e risolvere, grazie a un rimedio naturale che scopriremo insieme.

Perché sale cattivo odore dallo scarico?

Da qui la domanda sorge (quasi) spontanea: perché sale cattivo odore dagli scarichi? Il primo passo per affrontare il problema è capirne la radice.

I cattivi odori dal lavello di solito emergono a causa di residui di cibo che si accumulano e fermentano nei tubi, grassi che si solidificano che offrono il terreno fertile per lo sviluppo di batteri e muffe. Questi elementi, combinati con l’umidità costante tipica dello scarico, creano il mix perfetto per la generazione di odori poco piacevoli.

Non dimentichiamoci, inoltre, che anche nello scarico può accumularsi calcare. Perciò ho riflettuto a lungo su quale fosse il metodo più indicato. La risposta è stata l’acido citrico.

Come uso l’acido citrico per lo scarico del lavello

Come accennavo prima, il rimedio che credo sia gusto ma anche potente è l’acido citrico.

Ma ecco come utilizzarlo per lo scarico:

  1. Porta quasi ad ebollizione circa 2 litri di acqua; non deve bollire, ma essere sufficientemente calda.
  2. Sciogli 200 grammi di acido citrico in questa acqua calda, fino a ottenere una soluzione omogenea.
  3. Versa delicatamente la miscela nello scarico del lavello, facendo attenzione a non schizzarla per non scottarti.
  4. Copri lo scarico con un panno in microfibra umido e tiepido, in modo da mantenere il calore e l’azione del vapore all’interno dello scarico.

Lascia agire per tutta la notte. Se non conosci l’acido citrico, è un composto ecologico che:

  • ha proprietà che mangiano il calcare;
  • elimina efficacemente i cattivi odori;
  • svolge un’azione disincrostante con le superfici con cui viene a contatto.

Le sue proprietà non si limitano a questo. Infatti è anche un ottimo sostituto dell’ammorbidente industriale:

Il passaggio finale è semplice ma essenziale: dopo aver lasciato agire la soluzione di acido citrico per una notte intera, rimuovi il panno e lascia scorrere abbondante acqua calda per qualche minuto.

Questo risciacquo aiuterà a eliminare completamente i residui sciolti dell’acido citrico, portando via con sé gli ultimi rimasugli di cattivo odore.

Come evitare i cattivi odori nello scarico del lavello

Prima di lasciarci, ho pensato che potesse esserti utile capire come evitare che il problema si ripresenti. Ecco perciò alcuni consigli utili ed efficaci:

  • Pulisci frequentemente il filtro del lavello, eliminando ogni residuo di cibo prima che possa finire giù per lo scarico.
  • Evita assolutamente di gettare olii e grassi nello scarico: solidificandosi possono creare veri e propri blocchi nei tubi.
  • Una volta a settimana, dedica qualche minuto a versare nel lavello la soluzione di acqua calda e acido citrico per prevenzione; contribuirà a mantenerlo pulito e libero da cattivi odori.
  • Quando non stai usando il lavello, considera l’idea di coprire lo scarico per limitare eventuali residui di cibo dall’accumularsi.

BMI – Come si calcola il peso ideale?


In medicina, il calcolo del peso ideale non ha nulla a che fare con l’estetica o i modelli culturali.

Ciò che noi chiamiamo peso ideale è il peso corporeo che non è connesso ad un più alto rischio di sviluppare malattie. Si è scritto molto sul fatto che l’eccesso di peso aumenta il rischio di malattie e riduce l’aspettativa di vita.

Le persone obese o in sovrappeso, per esempio, hanno una maggiore incidenza di problemi cardiovascolari, diabete, ipertensione, apnea del sonno e persino alcuni tipi di cancro.

Ma non è solo l’eccesso di peso ad essere nocivo per la salute; anche le persone con peso corporeo inferiore alla norma hanno un tasso di mortalità più elevato.

Oltre a ciò, il peso ridotto non solo può essere un segno di disturbi psichici come l’anoressia o la bulimia, ma può anche essere un segno di una grave malattia come il cancro o l’Aids.

Da qui il concetto di peso ideale e indice di massa corporea, ovvero BMI (in inglese Body Mass Index).

Calcolo peso ideale

Il concetto di peso ideale si ottiene calcolando l’indice di massa corporea (BMI). Peso ideale e BMI ideale sono concetti simili. L’indice di massa corporea è una misura adottata dalla OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), utilizzato per la diagnosi di sottopeso, sovrappeso e obesità.

Il calcolo BMI può essere facilmente eseguito con due semplici dati: altezza e peso. La formula è semplice: BMI = peso (in chili) : altezza² (in metri). I risultati del BMI sono interpretati come segue:

  • Sottopeso = BMI inferiore a 18,5 kg/m².
  • Normopeso = BMI tra 18,5 e 24,9 kg di peso/m².
  • Sovrappeso = BMI tra 25 e 29,9 kg/m ².
  • Obesità di grado I = BMI tra 30 e 34,9 kg/m ².
  • Obesità di grado II = BMI tra 35 e 39,9 kg/m ².
  • Obesità di grado III (obesità patologica) = indice di massa corporea superiore a 40 kg/m².

Come è facile dedurre, si dovrebbe cercare di avere un BMI nel range di normalità, vale a dire tra 18,5 e 24,9 kg/m². Superiore o inferiore a questi valori gamma si è associati a un elevato rischio di malattie.

L’indice di massa corporea è un indicatore importante della salute la cui utilità è stata provata da numerosi studi scientifici.

Ma come si fa il calcolo del peso ideale? Si è discusso il concetto di peso ideale per decenni senza raggiungere un accordo. In realtà, il peso sano deve essere individualizzato per ogni persona. Diverse formule sono state sviluppate nel corso degli anni per cercare di trovare un modo di sapere qual è il peso più salutare. Il problema è che la maggior parte delle formule offrono pochi dati clinici e risultati spesso troppo differenti tra loro.

Si prenda ad esempio un uomo alto 180 cm, e si calcoli il suo peso ideale con alcune formule.

  1. Per la formula Hamwi (1964), il peso ideale sarebbe 77,3 kg.
  2. Per la Devine formula (1974), il peso ideale sarebbe 75,0 kg.
  3. Per la formula Robinson (1983), il peso ideale sarebbe 72.6 kg.
  4. Per la formula di Miller (1983), il peso ideale sarebbe 71,5 kg.

Pertanto, secondo la formula usata, il peso ideale per un uomo di 180 cm potrebbe variare da 71,5 kg a 77,3 kg. Nonostante i risultati, nessuna delle formule precedenti è completamente sbagliata.

L’attuale concetto di peso forma è strettamente legato al BMI. Idealmente, si deve cercare di rimanere all’interno della gamma di BMI normale, vale a dire tra 18,5 e 24,9 kg/m². Seguendo questa logica, per il nostro ipotetico esempio di un uomo di 180 cm, qualsiasi peso tra 60 kg e 81 kg lo farebbe entrare nel concetto di BMI normale.

Più si avvicina agli estremi però e più vicino sarà al sottopeso o al sovrappeso, che in un certo senso è contro il concetto di peso ideale.

Quindi, considerando tutto ciò che è stato discusso finora, ha senso considerare che il peso ideale sia quello che fa rientrare un individuo nel BMI normale, ma con un lieve margine sui limiti.

Variante Covid KP.2, è allerta negli Usa – Buca i vaccini.


C’è allerta negli Usa per la circolazione della nuova variante KP.2, figlia della ormai nota JN.1 che ha surclassato.

E’ una variante ‘rinforzata’ di Covid, attualmente responsabile della maggioranza dei nuovi casi oltroceano e le cui caratteristiche richiedono attenzione, come sottolineano dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie.

Questo perché “avrebbe una mutazione della proteina Spike, che il visus SarsCoV2 utilizza per agganciarsi alle cellule, ma soprattutto sembrerebbe non rispondere alle versioni aggiornate dei vaccini”.

Negli Usa si teme già il peggio, ovvero l’arrivo di una nuova ondata di Covid in estate. “Abbiamo una popolazione in cui l’immunità al virus è scemata e ciò aumenta la vulnerabilità collettiva a nuove infezioni del virus SarsCoV2”, ha osservato Thomas A. Russo, responsabile del Dipartimento di Malattie infettive della Jacobs School of Medicine dell’ università di Buffalo.

“Se guardo nella mia sfera di cristallo ha aggiunto direi che, considerando i vari fattori in gioco con la nuova mutazione, avremo probabilmente una nuova ondata o comunque un aumento dei casi e dei ricoveri questa estate”.

Uno studio realizzato ad Harvard e non ancora pubblicato, mostrerebbe inoltre non solo che gli ultimi vaccini non proteggerebbero contro la KP.2, ma che quest’ultima variante sarebbe più resistente all’immunità acquisita da infezioni precedenti.

La variabilità del virus di Covid è ormai evidente spiega Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università Statale di Milano.

La sua capacità di sviluppare nuove varianti significativamente diverse dal punto di vista antigenico nell’arco di 4-6 mesi evidenzia l’opportunità, ad oggi, di utilizzare un approccio vaccinale simile a quello che già da anni si adotta per l’influenza.

In altre parole, anche il vaccino contro Covid-19 cambierà ogni anno”.

Momenti di Relax – Tempo Libero


Il tran tran della vita spesso diventa così pesante da far perdere il controllo sul proprio benessere.

I ritmi lavorativi continui e asfissianti, le responsabilità della famiglia, lo studio incessante o le incertezze del futuro possono diventare un vero peso che mina alla serenità. 

Per questa ragione è davvero importante ritagliarsi del tempo libero dove ricaricare le pile e sentirsi connessi con se stessi, ritrovando le giuste energie per affrontare al meglio una nuova giornata.

Non ci sono scuse che tengano: bastano anche solo 5 minuti dedicati a se stessi ma di qualità.

Può infatti essere di vario tipo, l’importante è svolgere un’attività che regali benessere e serenità.

Un buon metodo è scrivere una lista di cose da fare e che donano un sorriso, che possono variare dalle più semplici a quelle più complesse. Ballare la propria canzone preferita, cantare a squarciagola sotto la doccia o godersi un bel bagno caldo rilassante, preparare un dolce in casa o uscire a fare una passeggiata a guardare un tramonto.

Ci si può concedere anche una serata con gli amici: molte persone che fanno parte della cerchia di amicizie sono considerate “persone vitamina”, la cui presenza è un faro nel buio e con le quali c’è una connessione istantanea, regalando sorrisi, tranquillità e una ricarica di positività. 

Se si ha maggiore tempo a disposizione, si può organizzare una gita fuori porta in un luogo caro o proprio in quella città che non si ha mai avuto modo ancora di visitare.

Anche solo un pomeriggio trascorso lontano dal lavoro o dal peso della quotidianità basta a ricaricare corpo e anima, affrontando la vita in maniera più positiva ed energica.

Insomma, qualsiasi attività è quella giusta pur che sia tempo dedicato a se stessi, staccando la mente, a volte anche il cellulare, senza lasciarsi sopraffare da pensieri negativi o stressanti ma circondati solo dalla bellezza della vita.

Lo sapevi che anche i denti invecchiano?


Creme per la notte, filler e integratori per restare giovani. Se molto facciamo in ottica anti-age per la cute, lo stesso non si può dire per la nostra igiene orale. Eppure il tempo agisce, e colpisce, soprattutto lì dove l’attenzione è più bassa.

invecchiare non sono solo pelle, ossa e articolazioni ma anche i nostri denti.

Gli italiani sono più attenti a dieta e sport che alla igiene orale

Gli italiani sono costantemente occupati nella cura della propria persona. Quasi la metà di essi segue una dieta bilanciata (48%) e svolge regolarmente esercizio fisico (44%), 1 su 3 non fuma o cerca di evitarlo. A rivelarlo è la nuova indagine condotta dall’Istituto di ricerca Ipsos per Mentadent Professional.

Non solo la pelle del viso cambia con l’età

Dai dati emerge che siamo un popolo di esteti. Le donne sono in generale porgono più attenzione alla skincare e alla pelle del viso.

Tra le abitudini messe in atto per contrastare i segni più evidenti dell’età ci sono:

  • beauty routine con crema antirughe;
  • detersione e rimozione del make-up prima di andare a letto;
  • applicazione della protezione solare.

Anche i denti subiscono un processo degenerativo nel tempo

A fronte di una diffusa apprensione per l’invecchiamento di mente (33%), pelle (29%), ossa e articolazioni (24%), solo al 4% dei connazionali preoccupa la salute orale in relazione agli effetti del passare del tempo.

E, dato significativo, solo l’8% è consapevole del fatto che anche i nostri denti invecchiano e utilizza dentifrici specifici che aiutino a mantenerli giovani.

Il motivo? Il loro processo rigenerativo è più complesso, poco si sa della demineralizzazione superficiale, che porta spesso a una perdita progressiva dello smalto dei denti.

Il decalogo per un sorriso sempre giovane

Per una bocca giovane ricorri a dentifrici con minerali bio-compatibili

È fondamentale adottare comportamenti e utilizzare strumenti per l’igiene orale che permettano ai denti di rimanere bianchi e in forza. Uno di questi è ricorrere a dentifrici con minerali bio-compatibili che prevengano l’erosione.

Lava i denti in verticale per la tua igiene orale

Secondo una ricerca di Top Doctor, il 33% degli italiani non sa che bisogna spazzolare in verticale, nello specifico dalla gengiva verso il dente, staccando ogni volta lo spazzolino per evitare il movimento su e giù continuo e non in orizzontale.

Con il filo interdentale previeni l’ipersensibilità dentale

L’ipersensibilità dentale può interessare qualsiasi paziente a qualsiasi età. Tuttavia, vi è una prevalenza nella popolazione di età compresa tra i 20 e i 40 anni, in particolare di sesso femminile, e nei soggetti affetti da malattia parodontale.

Per prevenirla bisogna lavare i denti almeno due volte al giorno per 3 o 4 minuti e utilizzare il filo interdentale (le setole dello spazzolino non arrivano tra un dente e l’altro, solo il filo deterge queste zone).

Anche lo sport migliora la salute delle gengive

Dieta mediterranea e sport aiutano la cura delle gengive in chi soffre di infiammazione cronica.

A parlarne per la prima volta è un recente studio italiano pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Periodontology che indaga la correlazione tra il binomio sedentarietà-nutrizione scorretta e severità della malattia parodontale: una scarsa aderenza alla dieta mediterranea e poca attività fisica aumenterebbero, di ben 10 volte, il rischio di parodontite severa.

Latte e insalata sono gli amici del sorriso

Esistono degli alimenti che potremmo definire come “amici del sorriso” e sono:

  1. latte e derivati, grazie al loro contenuto di calcio;
  2. verdure specialmente a foglia larga come spinaci e insalata, che stimolano la salivazione;
  3. la frutta ricca di fibre come la mela, che aiuta a pulire la bocca;
  4. frutti di bosco perché ricchi di sostanze antibatteriche.

Agrumi, aceto e birra rovinano lo smalto

Sarebbe meglio limitare:

  1. l’assunzione di agrumi, aceto e birra perché abrasivi per lo smalto;
  2. le bibite gassate e gli energy drink che hanno un’azione corrosiva;
  3. le caramelle e i dolciumi che contengono un alto tasso di zuccheri e possono causare l’insorgenza di carie;
  4. vino, caffè e tè tendono a pigmentare lo smalto.

Ricordati di pulire anche la lingua

Ricordiamoci che la lingua è potenzialmente un serbatoio di batteri anaerobi. Una sua singola cellula epiteliale può, infatti, ospitare fino a 100 batteri.

Per assicurarsi una buona igiene orale, la pulizia può essere effettuata tramite il classico spazzolino da denti oppure ricorrendo a un apposito strumento: il raschietto linguale.

Sostituisci lo spazzolino almeno ogni tre mesi

Lo spazzolino da denti va sostituito ogni 3 o 4 mesi circa. Non aspettare che le setole si deformino, piegandosi verso l’esterno.

In questo caso lo spazzolino perde la sua funzione primaria, ovvero eliminare placca batterica e residui di cibo dai denti.

Mai sottovalutare una gengiva che sanguina

È importante sottoporsi regolarmente a visite periodiche dal dentista per identificare e poter curare, sin dalle prime fasi, eventuali processi patologici a carico dei denti e delle gengive.

In particolare, se vedi del sangue quando lavi i denti, non aspettare e prenota subito un controllo.

Ogni 6 mesi sottoponiti a una seduta di igiene orale professionale

Infine è bene sottoporsi a una seduta di igiene orale professionale per la rimozione del tartaro che si forma nelle zone dove è più difficile la pulizia domiciliare e maggiore il ristagno di saliva.

Vai dal dentista una volta ogni sei mesi.

Come ridurre l’usura degli pneumatici dell’auto: suggerimenti efficaci


L’usura degli pneumatici dell’auto dipende da numerosi fattori e modificando, anche di poco il proprio stile di guida o prestando maggiore attenzione ad alcuni semplici accorgimenti, sarà possibile ridurla, avendo quindi necessità di cambiare le gomme con minore frequenza.

Una eccessiva usura delle gomme può dipendere da diverse variabili e tradursi in spese non indifferenti. Andare se possibile a ridurre l’usura degli pneumatici dell’auto è quindi come ovvio qualcosa di importante.

Oltre all’aspetto economico va detto poi che delle gomme usurate o comunque non in perfette condizioni fanno guidare con inferiori standard si sicurezza, portano inoltre ad un aumento dei consumi, che non solo significa spendere di più, ma anche impattare maggiormente sull’ambiente.

Ci sono quindi davvero valide ragioni per cercare di far durare a lungo le gomme dell’auto, potendo sempre contare su pneumatici in buone condizioni.

Ridurre l’usura degli pneumatici, ecco come fare

Gli pneumatici sono di gran lunga uno degli elementi maggiormente importanti per la sicurezza e le prestazioni generali di un’auto. Mantenere gli pneumatici in buone condizioni è quindi essenziale per garantire una guida sempre sicura e pienamente efficiente.

Per ridurre l’usura degli pneumatici si consiglia di mantenere la corretta pressione degli stessi. Questa ha infatti un impatto significativo sull’usura e sulle prestazioni. Bisogna verificare regolarmente la pressione degli pneumatici utilizzando un manometro che sia affidabile e assicurarsi di gonfiarli secondo le specifiche consigliate dal loro produttore.

Pneumatici gonfiati troppo o troppo poco possono causare un’usura irregolare e compromettere la tenuta di strada.

Effettua una rotazione periodica degli pneumatici e naturalmente montare quelli adatti alla stagione in cui ci si trova, oltre a verificarne sempre la corretta pressione è molto importante.

Controllare l’equilibratura degli pneumatici è un’altra verifica da fare con regolarità. In genere è bene farla durante la manutenzione periodica, affidandosi a dei professionisti.

Guidare in modo corretto riduce l’usura degli pneumatici

Guidare in modo corretto, senza accelerazioni improvvise o brusche frenate, aiuta non poco ad allungare la vita delle gomme e a evitare che si usurino troppo.

Accelerazioni e frenate graduali e un corretto approccio alle curve, aiuta a ridurre lo stress sugli pneumatici e di conseguenza a ridurne l’usura eccessiva e a prolungarne la durata.

Anche evitare carichi eccessivi è un buon consiglio, amico degli pneumatici dell’auto. Caricare eccessivamente il proprio veicolo può mettere sotto stress le sue gomme, causando un’usura decisamente più rapida.

Bisogna poi anche cercare di prestare sempre attenzione a buche, dossi e irregolarità della strada in genere. Prendere delle buche in pieno e affrontare dossi in modo errato e spericolato, può causare danni seri agli pneumatici, come tagli o deformazioni. Se ci sono degli ostacoli sulla strada è sempre bene evitarli o superarli a velocità molto contenuta.

Infine, controllare con regolarità la profondità del battistrada aiuta a capire se sia venuto il momento di cambiare una o più gomme. Le condizioni del battistrada influiscono molto sull’aderenza degli pneumatici al fondo stradale e una sua eccessiva usura, può comportare rischi da non sottovalutare. Anche in questo caso, guidare in modo responsabile, aiuta a ridurre l’usura del battistrada degli pneumatici e a prolungare la loro durata.

Gli esseri umani potrebbero vivere per sempre, secondo le ricerche


I romani consideravano 100 o 110 come il limite massimo per la durata della vita umana. Il record per la più lunga durata della vita umana registrata è detenuto da Jeanna Calment, una donna francese che ha vissuto per 122.

Quando nacque nel 1875 l’aspettativa di vita media era solo di circa 40 anni. Ma c’è un limite alla durata della nostra vita?

Secondo uno studio dei ricercatori delle università americane Georgia e Southern Florida, pubblicato sulla rivista scientifica Plos One, se questo esiste, siamo ancora lontani da scoprirlo.

“L’invecchiamento scrivono è semplicemente un aumento esponenziale delle probabilità di morte e di malattia con il passare del tempo.

Gli scienziati in questi anni sono stati tutt’altro che concordi: mentre gruppi di ricercatori hanno ipotizzato che un limite naturale potrebbe attestarsi intorno ai 120, 140, o 150 anni, altri credono non ce ne sia realmente uno e che l’invecchiamento non porta necessariamente alla morte.

Esiste un limite alla durata della vita umana?

Qualche anno fa era stata proprio una ricerca italiana pubblicata sulla rivista Science e condotta dall’università della Sapienza di Roma, in collaborazione con quelle di Roma Tre, Berkeley e Southern Denmark e l’Istat, a spiegare come sia impossibile stabilire quale sia il limite della durata della vita umana.

“Se esiste un limite biologico questo non è ancora diventato visibile o non è stato raggiunto” aveva detto all’Ansa nel 2018 la coordinatrice della ricerca, Elisabetta Barbi, del dipartimento di Statistica della Sapienza.

Da tempo la comunità scientifica si interroga su se e come cambia il rischio di morte con l’avanzare dell’età.

I ricercatori si erano basati su dati relativi a quasi 4.000 italiani ultracentenari (la maggior parte donne), raccolti fra il 2009 e il 2015.

Verificando che “il rischio di morte accelera esponenzialmente con l’età fino a 80 anni, per poi decelerare progressivamente, fino a raggiungere un plateau e rimanere costante, o quasi, dopo i 105 anni” e che “per le generazioni di nascita più giovani i livelli di mortalità sono leggermente più bassi”.

In questo i miglioramenti della sanità pubblica e della tecnologia medica hanno un ruolo cruciale.

Aviaria, gli Usa si preparano al contagio uomo-uomo: il piano


“Esiste conferma della trasmissione” del virus dell’influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità “tra bovino e bovino e da bovino a pollame”, secondo quando emerge “dal sequenziamento” virale.

“Sono inoltre confermati casi di bovini da latte asintomatici”, ma “con infezione da H5N1”, anche se “l’entità dei test non è chiara”.

Lo evidenzia lo scienziato americano Eric Topol, vice presidente esecutivo Scripps Research, fondatore e direttore Scripps Research Translational Institute, in un’analisi sui risultati del vertice a porte chiuse organizzato nei giorni scorsi dal Dipartimento dell’Agricoltura (Usda), dai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) e dalla Food and Drug Administration (Fda), per fare il punto sull’emergenza aviaria nelle mucche da latte negli Stati Uniti.  

Oltreoceano i timori per il diffondersi del patogeno di origine aviaria negli allevamenti crescono, tanto che già si lavora a un “piano di preparazione nel caso in cui si verificasse una trasmissione umana” del virus, finora mai confermata.

I funzionari federali, riporta Topol, “hanno spiegato che il Tamiflu”, il farmaco antivirale oseltamivir, “sarebbe efficace” per contrastare l’infezione nell’uomo “e che ne sono state accumulate scorte”.

Inoltre, “se necessario gli Usa potrebbero dirottare la produzione annuale di vaccini antinfluenzali per fabbricare vaccini anti-H5N1 su larga scala”.

Sono disponibili al momento “2 vaccini candidati contro l’H5N1 che si concordano bene con la sequenza attuale” del virus, e sfruttando la tecnologia dell’mRna “esiste la possibilità di aumentare la fornitura di vaccino” in caso di bisogno.

Oggi “sembra molto improbabile” che si debba arrivare a tanto, ossia a dover fronteggiare un’epidemia di aviaria nell’uomo, “ma quanto più il virus H5N1 si diffonde incontrollato avvertono gli esperti tanto maggiori sono i serbatoi” in cui può proliferare “e le possibilità che si verifichino ulteriori mutazioni funzionali. Dunque è meglio pianificare lo scenario peggiore”.  

Al momento l’unico caso umano di infezione da H5N1 ad alta patogenicità documentato nell’ambito dell’epidemia fra i bovini è quello di un lavoratore del settore lattiero-caseario, che in Texas si è contagiato per contatto diretto con gli animali e ha presentato come unico sintomo una congiuntivite.

Per contenere un’ulteriore diffusione dell’epidemia è stata emessa un’ordinanza federale che impone di effettuare test e segnalare i capi infetti. Quanto ai test di routine sui suini, ‘osservati speciali’ perché potrebbero rappresentare per il virus un ponte verso l’uomo, “finora sono risultati negativi”.  

L’epidemia di virus dell’influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità in corso tra le mucche da latte negli Stati Uniti sarebbe cominciata già alla fine dell’anno scorso, quindi diversi mesi in anticipo rispetto al primo caso confermato dalle autorità sanitarie a fine marzo 2024, e probabilmente è più estesa di quanto si pensi, sottolinea ancora. 

Casi di infezione sono stati registrati finora in 8 stati Usa, ricorda Topol. Ma il recente report della Fda sulla positività al virus di diversi campioni di latte pastorizzato in commercio, evidenzia lo scienziato, supporta “fortemente” l’ipotesi che la diffusione dell’infezione negli allevamenti “sia molto più ampia” e vada “oltre questi 8 stati”.

Per Topol è “importante evidenziare che il test Pcr” utilizzato nelle analisi sul latte cerca “frammenti di virus, non il virus vivo” la cui presenza nell’alimento sarebbe “improbabile dopo la pastorizzazione”.

Per valutare la presenza di virus vivo la Fda dovrà effettuare altri esami di tipo colturale, ma quelli condotti finora seppur “limitati” sono “ad oggi tutti negativi per qualsiasi virus vivo nel latte”.  

Un altro dato rimarcato dallo scienziato americano riguarda l’esito del “grande lavoro” fatto dal biologo evoluzionista dell’Arizona Michael Worobey, che “eroicamente ha analizzato le 239 sequenze H5N1 rilasciate per la prima volta domenica notte”, concludendo che l’epidemia deriva probabilmente da “un unico inizio della trasmissione virale dagli uccelli alle mucche. L’Usda ha dichiarato” inoltre “di ritenere che l’epidemia tra i bovini da latte negli Stati Uniti sia cominciata alla fine del 2023, inizialmente in Texas”. 

Come organizzare un’escursione in montagna: consigli utili


In inverno le escursioni in montagna sono ancora più belle per via dei paesaggi tinti di neve bianca, capace di rendere il tutto più magico e suggestivo.

Ma non solo per i bei panorami le escursioni sono tanto amate: per i più sportivi sono un momento di sfida e di adrenalina, da superare per raggiungere un traguardo.

Come organizzare un’escursione in montagna

E’ molto importante, se state pianificando di fare un’escursione in montagna, organizzare tutto nei dettagli, per raggiungere la meta in totale sicurezza: dove andare, scegliere il livello di difficoltà del percorso, preparare l’attrezzatura.

Ecco alcuni consigli che potranno esservi utili.

L’itinerario

La prima cosa da fare, dopo aver scelto la meta, è informarsi sulle caratteristiche che l’itinerario possiede.

E’ bene capire il livello di difficoltà del percorso, così da scegliere quello più adatto alle proprie competenze fisiche e tecniche.

Per questo controllate il dislivello che dovrete affrontare! Ci sono diversi livelli di escursioni:

– Turistici (T)

– per Escursionisti (E)

– per Escursionisti Esperti (EE)

– per Escursionisti Esperti Attrezzati (EEA)

Controllare il meteo

Controllare il meteo è indispensabile: scegliete il giorno per la vostra escursione in base al tempo, evitando i giorni dove potrebbero avvenire temporali, forti nevicate o piogge insistenti. Assicuratevi che in quella giornata ci sia un bel sole pieno.

Il punto di accesso

Verificate il punto di partenza e di accesso alla vostra escursione, così da organizzare al meglio la vostra partenza: per esempio potrete capire dove parcheggiare la macchina, se lontano dal posto o in parcheggi appositi, da prenotare o non.

Descrizione dell’itinerario

Vi consigliamo di leggere, prima di mettervi in marcia, una descrizione del percorso: in questo modo potrete ottenere informazioni per esempio sul tipo di terreno, così da poter scegliere le calzature più adatte, oppure su punti utili da memorizzare, in modo tale da diminuire la possibilità di perdervi.

Informazioni generali

Nella descrizione dell’itinerario ci sono anche informazioni non tecniche, ma più generiche, che sono comunque molto preziose.

Per esempio spesso viene indicato se sul percorso ci sono punti per il rifornimento d’acqua, rifugi dove sostare nel caso in cui il meteo non fosse dei migliori o per pranzare.

Una mela al giorno, ecco cosa succede al tuo corpo


Probabilmente conosci l’espressione familiare “una mela al giorno toglie il medico di torno.”

Sebbene la frase sia stata coniata per la prima volta nel 1913, si basava su un proverbio di Pembrokeshire che ha avuto origine nel 1866.

Infatti, la rivista Notes and Queries fu la prima a pubblicare la citazione originale: “Mangia una mela prima di andare a letto, e terrai il medico lontano dal guadagnare il suo pane.”

Una mela al giorno, ecco cosa succede al tuo corpo

Anche se la ricerca mostra che mangiare più mele potrebbe non essere effettivamente associato a meno visite dal medico, aggiungere mele alla tua dieta può aiutare a migliorare diversi aspetti della tua salute.

Vediamo allora se mangiare una mela al giorno possa veramente aiutare a tenere il medico lontano.

Benefici per la salute

Le mele sono state associate a numerosi benefici che potrebbero aiutare a promuovere la salute a lungo termine.

Altamente nutritive

Le mele sono cariche di importanti nutrienti, inclusi fibre, vitamine, minerali e antiossidanti.

Una mela media fornisce i seguenti nutrienti:

Calorie: 95

Carboidrati: 25 grammi

Fibre: 4.5 grammi

Vitamina C: 9% del Valore Giornaliero (DV)

Rame: 5% del DV

Potassio: 4% del DV

Vitamina K: 3% del DV

In particolare, la vitamina C agisce come un antiossidante per neutralizzare composti dannosi noti come radicali liberi e protegge contro le malattie.

Le mele sono anche una grande fonte di antiossidanti come quercetina, acido caffeico ed epicatechina.

Supporta la salute del cuore

Gli studi mostrano che mangiare più mele potrebbe essere associato a un minor rischio di diverse condizioni croniche, incluse le malattie cardiache.

Infatti, uno studio su oltre 20.000 adulti ha scoperto che il consumo di maggiori quantità di frutta e verdura a polpa bianca, incluse le mele, era collegato a un minor rischio di ictus.

Questo può essere dovuto alla presenza di flavonoidi trovati nelle mele, che sono composti che hanno dimostrato di ridurre l’infiammazione e proteggere la salute del cuore.

Le mele sono anche cariche di fibra solubile, che può aiutare a ridurre la pressione sanguigna e i livelli di colesterolo, entrambi fattori di rischio per la malattia cardiaca.

Contiene composti che combattono il cancro

Le mele contengono diversi composti che possono aiutare a prevenire la formazione di cancro, inclusi antiossidanti e flavonoidi. Secondo una revisione di 41 studi, consumare una maggiore quantità di mele era associato a un rischio ridotto di sviluppare il cancro ai polmoni.

Un altro studio ha osservato risultati simili, segnalando che mangiare più mele era legato a un minor rischio di cancro colorettale.

Altre ricerche suggeriscono che una dieta ricca di frutta e verdura potrebbe proteggere contro il cancro dello stomaco, del colon, dei polmoni, della cavità orale e dell’esofago.

Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per valutare gli effetti anticancro delle mele e determinare se altri fattori possono essere coinvolti.

Altri benefici per la salute

Le mele sono state anche collegate a diversi altri benefici per la salute che potrebbero aiutare a tenere il medico lontano:

Supporta la perdita di peso. Grazie al loro contenuto di fibre, le mele sono state dimostrate di promuovere sensazioni di sazietà, diminuire l’assunzione di calorie e aumentare la perdita di peso.

Migliora la salute delle ossa. Studi su umani, animali e in provetta hanno scoperto che mangiare una maggiore quantità di frutta potrebbe essere associato a una densità minerale ossea aumentata e un minor rischio di osteoporosi.

Promuove la funzione cerebrale. Studi sugli animali suggeriscono che mangiare mele potrebbe aiutare a ridurre lo stress ossidativo, prevenire il declino mentale e rallentare i segni dell’invecchiamento.

Protegge contro l’asma. Gli studi mostrano che un maggiore consumo di mele può essere collegato a un minor rischio di asma.

Riduce il rischio di diabete. Secondo una grande revisione, mangiare una mela al giorno era legato a un rischio del 28% inferiore di sviluppare il diabete di tipo 2, rispetto a non mangiare affatto mele.

Svantaggi potenziali

Mangiare una mela ogni giorno è improbabile che danneggi la tua salute. Tuttavia, è possibile avere troppo di una cosa buona, e mangiare più mele ogni giorno può causare diversi effetti collaterali negativi.

In particolare, aumentare rapidamente il tuo apporto di fibre in un breve periodo di tempo può causare sintomi come gas, gonfiore e dolore allo stomaco.

Come altri frutti, anche le mele contengono una buona quantità di carboidrati in ogni porzione. Mentre ciò non è un problema per la maggior parte delle persone, coloro che seguono una dieta a basso contenuto di carboidrati o chetogenica potrebbero dover moderare il loro consumo.

Mangiare una mela ogni giorno è improbabile che influisca negativamente sulla tua salute. Tuttavia, mangiare quantità eccessive di mele ogni giorno potrebbe contribuire a problemi digestivi.

Altre opzioni sane alternative alle mele

Ricche di vitamine, minerali e antiossidanti, le mele sono un’ottima aggiunta alla dieta e possono offrire diversi benefici per la salute. Tuttavia, molti frutti e verdure offrono un insieme simile di nutrienti e possono essere altrettanto benefici per la salute. Inoltre, incorporare una varietà di altri frutti e verdure nella tua routine può aggiungere più sapore e valore nutrizionale alla tua dieta.

Ecco alcuni altri frutti e verdure che puoi sostituire alle mele di tanto in tanto:

banane

mirtilli

broccoli

carote

cavolfiori

pompelmi

cavolo

mango

pesche

pere

ananas

lamponi

spinaci

fragole

pomodori

Molti frutti e verdure offrono un insieme di nutrienti e benefici per la salute simili a quelli delle mele, e possono essere goduti come parte di una dieta sana ed equilibrata.

Conclusioni

Anche se mangiare più mele potrebbe non essere letteralmente associato a meno visite dal medico, le mele sono ricche di nutrienti e offrono diversi benefici per la prevenzione delle malattie e la salute a lungo termine.

Oltre alle mele, molti altri frutti e verdure forniscono un insieme simile di nutrienti e benefici per la salute. Per ottenere i migliori risultati, goditi una varietà di frutti e verdure come parte di una dieta nutriente e ben arrotondata.

Gli 8 consigli di Leonardo per restare in salute iniziano a tavola


Il Genio Universale

Leonardo Da Vinci è stato ed è la massima espressione del genio umano.
Definito divino dai suoi contemporanei quest’uomo a dir poco straordinario ha elevato, sublimandole, le arti e le scienze anticipando di secoli applicazioni tecniche ed invenzioni rivoluzionarie, frutto di un’incessante sete di conoscenza ed un lavoro infaticabile.

Durante la sua lunga vita Leonardo seppe mantenersi sempre in buona forma, seguendo rigorosamente alcune semplici regole da lui stesso redatte.
Questi consigli si adattano perfettamente a tutti di noi, trattando del mangiar bene così come di pratiche di vita quotidiana.

Abbiamo selezionato i più preziosi, nella speranza che anche voi possiate approfittare della loro grande saggezza e per chiudere in bellezza, alla fine dell’articolo, vi sveleremo qual è il piatto preferito da Leonardo!

Non mangiare senza appetito

Cosa c’è di più attendibile della nostra voce interiore?
Sembra banale ma mangiare senza appetito significa appesantire il proprio intestino, affaticandoci inutilmente: non ne hai bisogno.

La cena dev’essere sempre leggera

Vietato appesantirsi prima di andare a letto, compromettendo la digestione ed un buon riposo.

Scegliete sempre di mangiare meno e/o piatti ricchi di verdure, di cereali o legumi. Alla sera lasciate che sia il sonno a ristorarvi.

Mastica bene

Masticare bene ciò che mangi permette di approfittare al massimo degli elementi nutritivi degli alimenti, di facilitare la digestione ma soprattutto di gustare a fondo di ciò che mangiamo.

Leonardo aveva capito ed anticipato di secoli (anche) le scienze alimentari.

Ciò che mangi dev’essere molto semplice e ben cotto

Uno degli aforismi più famosi di Leonardo riguarda la semplicità, definita dal maestro “ultima sofisticazione”.
Chi ha orecchi per intendere, intenda. 

Resta verticale dopo i pasti

Non cedere mai alla tentazione di sdraiarti sul divano, o peggio, a letto dopo aver mangiato.

Così facendo s’intralcia il lavoro dell’intestino, allungando e peggiorando la digestione. Al contrario, fare due passi all’aria aperta sarebbe di grande beneficio.

Non cedere al sonno dopo pranzo

Vinci la piccola lotto contro il sonno post pranzo, non è poi così difficile. Conserva piuttosto la fatica per la notte, dormirai e riposerai molto meglio.

Sii sobrio verso il vino, bevine spesso ma poco e mai al di fuori dei pasti o a digiuno

Forse ricordate i vostri nonni sostenere con convinzione che bere un bicchiere di vino a pasto fa bene, e forse avete sempre dubitato della loro parola.

Sappiate che Leonardo ebbe la loro stessa intuizione, consigliando di bere vino spesso, sempre e solo durante i pasti, in quantità moderata e mai a digiuno. Complimenti a nostri nonni e…Cin cin! 

Non ritardare mai la visita alla toilette

La prima regola della buona salute che vi abbiamo svelato insegna ad ascoltarsi e così fa quest’ultima. Quando sentite il bisogno di andare alla toilette, non ritardatelo mai affinchè tutto si svolga nei migliori tempi e modi possibili!

Queste sono le regole di buona salute, ci raccomandiamo: mettetele in pratica e ne ricaverete grandi benefici.

Non è ancora finita, continuate a leggere che vi sveliamo il piatto preferito da Leonardo!

Minestrone

“Il maestro si diletta con insalate, frutta, verdure (di stagione n.d.r.), cereali, funghi e pasta; sembra però avere una predilizione per il minestrone.”
Ebbene si tratta del minestrone e, considerandone gli innumerevoli benefici, non ci sorprende poi più di tanto!

Come eliminare la muffa dal silicone della doccia


Il bagno di casa, purtroppo, è la stanza che più accumula umidità. Ed è soprattutto la zona doccia quella più soggetta alla formazione della muffa.

Ma togliere quel nero sul silicone della doccia è possibile utilizzando alcuni ingredienti naturali.

Vediamo insieme quali sono! Ricordate di Utilizzare sempre guanti e mascherina quando venite a contatto con macchie di muffa.

Bicarbonato

Il primo metodo che potete provare per rimuovere la muffa dal silicone della vostra doccia è il bicarbonato.

Tutto ciò che dovrete fare è creare una soluzione fatta da un litro di acqua3 cucchiai di bicarbonato di sodio e 3 cucchiai di sale fino da cucina.

Mescolate tutti gli ingredienti e versate la soluzione in un flacone spray.

Per un’azione più efficace, potete aggiungere anche 3 cucchiai di acqua ossigenata. Spruzzate la miscela sul silicone della doccia ammuffito e lasciate agire per circa 20 minuti.

Dopodiché utilizzate uno spazzolino e rimuovete delicatamente la macchia di muffa. Infine, risciacquate con acqua abbondante.

Potete ripetere l’operazione più volte fino a quando la muffa sarà rimossa.

Rimedio dell’ovatta

Quando la muffa nel box doccia è ostinata, possiamo provare il rimedio dell’ovatta per eliminare le macchie di nero negli angoli e sul silicone.

Basteranno solo alcuni ingredienti, come acqua ossigenata, sale e bicarbonato.

Succo di limone

Un ulteriore rimedio molto efficace per eliminare la muffa dal silicone della doccia consiste nell’utilizzare il succo di limone.

Iniziate con il versare un po’ di bicarbonato direttamente sulla macchia di muffa.

Bagnate, poi, il silicone con acqua calda e lasciate agire il bicarbonato per circa mezz’ora.

Nel frattempo, in uno spruzzino aggiungete dell’acqua e il succo di un limone.

Spruzzate un po’ di questa miscela sulla macchia cosparsa di bicarbonato. Utilizzate, poi, la parte abrasiva di una spugna per rimuovere lo sporco e la muffa, senza strofinare ma tamponando. Continuate a spruzzare la soluzione più volte fino a quando il silicone non sarà totalmente sbiancato.

Aceto bianco

Quando si parla di muffa nella doccia, non si può ignorare l’efficacia dell’aceto di vino bianco, un ingrediente molto utilizzato anche per rimuovere macchie di calcare e per diverse pulizie di casa:

Create, quindi, una soluzione fatta di 2 tazze di aceto in un 1 litro di acqua. La miscela ottenuta sarà ottima per pulire anche le piastrelle e le ceramiche del bagno.

Versate il tutto in un flacone spray e spruzzate la miscela sul silicone ammuffito. Lasciate agire per circa 15 minuti e poi risciacquate.

Acido citrico

Infine, potete utilizzare l’acido citrico, un’alternativa più ecologica rispetto all’aceto di vino bianco.

Anche questo ingrediente, infatti, risulta essere molto efficace in caso di macchie di muffa, grazie alla sua azione anticalcare e al suo potere sbiancante.

Create una soluzione composta da un litro di acqua e 150 grammi di acido citrico. Versate un po’ della miscela sulla macchia di muffa e lasciatela agire per circa 15 minuti.

Dopodiché, utilizzate una spugnetta e tamponate delicatamente per rimuovere tutto lo sporco.

Ma gli utilizzi dell’acido citrico non finiscono qui! La stessa soluzione si rivela versatile per diverse problematiche casalinghe.

Ricordiamo di contattare uno specialista in caso di macchie di muffa ingenti.

Come togliere la muffa nera dal silicone del box doccia?

Puoi togliere la muffa nera dal silicone del box doccia spruzzando della classica acqua ossigenata da supermercato. Lascia agire per 20 minuti e tampona con una spugna.

Perché il silicone della doccia diventa nero?

Il silicone della doccia diventa nero a causa dell’umidità. Facciamo docce ogni giorno e non sempre la stanza è ben arieggiata né ci ricordiamo di asciugare tutte le componenti.

Come si leva la muffa dal box doccia?

Prova a spruzzare una soluzione di acqua calda e percarbonato di sodio, lasciando agire per una mezz’ora. La muffa dal box doccia dovrà ridursi.

Come non far creare la muffa in bagno?

Per non avere muffa in bagno, ricorda di arieggiare l’ambiente molto spesso, soprattutto quando usi la doccia o la vasca. I vapori generano umidità, che favorisce la comparsa della muffa.

Il Superbonus è – un mostro ci vuole una stretta Giorgetti contro i compromessi


Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non usa mezzi termini nel definire il Superbonus: è diventato un vero e proprio “mostro” che sta minando le fondamenta della finanza pubblica.

Durante un discorso nell’Aula della Camera dove il Def ha ottenuto l’approvazione con 197 voti a favore, 126 contrari e 3 astenuti Giorgetti ha addirittura paragonato il bonus 100% a una droga psichedelica, un “Lsd” per i conti dello Stato, sottolineando la necessità di porre fine al lassismo, ai sussidi e all’accumulo di debito.

L’aumento del deficit al 7,4% nel 2023, il più alto nell’Unione europea, ha sollevato preoccupazioni tra le agenzie di rating. 

Fitch, che il prossimo 3 maggio aggiornerà il giudizio sul merito di credito italiano (attualmente BBB con outlook stabile), avverte che un rapporto debito/Pil al 110% potrebbe portare il debito a livelli insostenibili, mentre il governo spera di limitarlo al 139,6%.

Anche Bankitalia ha lanciato un segnale di allarme a Palazzo Chigi con una memoria depositata in commissione Finanze del Senato: se l’ultima stretta non funziona, bisognerà eliminarlo prima del 2025.

Giorgetti ha fatto capire anche ai suoi colleghi di maggioranza di non essere disposto ad accettare compromessi sulla questione. Egli propone un intervento drastico, come l’estensione da 4 a 10 anni del periodo di recupero dei crediti di imposta legati al Superbonus, insieme a nuove misure restrittive, incluse restrizioni sulla cessione dei crediti e sui lavori non avviati.

È chiaro che Giorgetti è determinato a difendere la stabilità finanziaria del Paese, anche a costo di mettere in gioco il proprio incarico.

Giorgetti sul Patto di Stabilità: “È un compromesso, no a crescita modello Lsd”

La situazione diventa ancora più critica con il ritorno delle regole dell’Unione europea sulla finanza pubblica. Proprio Giorgetti ha commentato il via libera al nuovo Patto di stabilità Ue approvato due giorni fa.

“È sicuramente un compromesso, non è la proposta che il sottoscritto aveva portato avanti in sede europea”, ma rappresenta comunque “un passo in avanti rispetto alle regole di bilancio che sarebbero tornate in vigore nel 2025”.

Il ministro ha anche sottolineato che il modello di crescita del Paese dovrebbe fondarsi su sacrificio, investimento e lavoro, anziché sul “modello Lsd” di lassismo, debito e sussidi.

Nel frattempo, al Senato, Forza Italia cerca di allargare le maglie del decreto che regola lo sconto in fattura e la cessione del credito.

Le richieste includono deroghe per immobili delle onlus e delle zone terremotate, nonché una proroga selettiva per i condomini. Ma dei 355 emendamenti presentati al decreto Superbonus in Senato rimarrà ben poco. Giorgetti è consapevole che queste richieste potrebbero ulteriormente complicare la situazione finanziaria già precaria, portando a un aumento del deficit.

Rispetto alle polemiche delle opposizioni sul mancato finanziamento di altre priorità, il ministro ha sottolineato che il Superbonus, se da un lato può stimolare la crescita economica, dall’altro crea dilemmi su come finanziare altre voci.

In un tono sarcastico, il ministro ha osservato che coloro che hanno deciso questa politica hanno di fatto scelto di sottrarre fondi ad altri investimenti, alimentando così il debito.

Il governo, stretto dalle priorità in ambito sanitario, educativo, culturale e sociale, ha infatti dovuto rimandare il bonus sulle tredicesime.

Ma a complicare ulteriormente la situazione ci sono le nuove regole dell’Unione europea, che spingono il governo a rivedere gli obiettivi di finanza pubblica.

In attesa delle linee guida dell’Ue a giugno, Giorgetti è ben consapevole che i prossimi anni saranno estremamente difficili.

Patto stabilità, a giugno le prime procedure per disavanzo. Per l’Italia sarà rebus manovra


Il nuovo Patto di stabilità e crescita ha incassato, a Strasburgo, il via libera del Parlamento Ue.

Ora è all’ultimissimo miglio prima di entrare in vigore. Il testo cambia le regole del gioco nella governance economica mantenendo da un lato i parametri del 3 e del 60% per il deficit e per il Pil ma concedendo dall’altro dei piani di rientro più graduali per i Paesi ad alto debito.

Il nuovo Patto cerca di mantenere dei parametri rigidi per il rientro dal debito e dal deficit, introduce sul deficit la soglia dell’anti-crisi dell’1,5% del Pil ma concede qualcosa a Paesi come Italia, Belgio, Grecia, Francia o Spagna, che hanno debiti elevati.

I governi potranno concordare con Bruxelles un piano di rientro che va da 4 a 7 anni in cambio della messa in campo di riforme per crescita e conti sostenibili.

Il taglio annuale del debito, per chi è sopra la soglia del 90% del Pil, resta dell’1% annuo. Sul deficit, i Paesi che sforano il 3% sono chiamati ad una riduzione dello 0,5% annuo ma con un periodo transitorio che arriva fino al 2027 e nel quale la percentuale potrà essere ridotta.

Il 19 giugno l’Ue deciderà sulle procedure per disavanzo. «Guardando ai dati Eurostat si può avere un’anticipazione della potenziale decisione», ha spiegato il commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni sottolineando, tuttavia, che tale decisione verrà presa solo a giugno.

Ovvero, dopo le Europee. L’Italia, con il 7,4% del deficit appena certificato dall’Eurostat, è ad altissimo rischio. «II Paese continua a far fronte a vulnerabilità legate a debito, deficit e crescita della produttività», si legge nelle conclusioni degli esami approfonditi della Commissione Ue sugli squilibri macroeconomici dei 27.

È proprio il superamento «non temporaneo» della soglia del 3% nel rapporto deficit-Pil, secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, a rendere «molto probabile» l’avvio di una procedura per disavanzo eccessivo da parte dell’Ue nei confronti dell’Italia.

Il Def non riporta lo scenario programmatico. La sua presentazione, coerente con le nuove regole europee e con l’orizzonte quinquennale che sarà necessario adottare, è stata rinviata alla presentazione del Piano strutturale e di bilancio di medio termine, che dovrà avvenire nei prossimi mesi.

«Qualora venissero confermati gli obiettivi riportati nella Nadef 2023 è il messaggio lanciato dall’Upb sarà necessario individuare nella prossima manovra di bilancio idonee coperture per le politiche invariate che si deciderà di attuare e per eventuali nuovi interventi».

Ad esempio, «in un’ottica di programmazione di medio-lungo termine, risorse strutturali dovranno essere individuate anche per altri interventi, fra cui quelle necessarie per il rinnovo dei contratti di lavoro dei dipendenti pubblici».

Sergio Nicoletti Altimari, capo dipartimento Economia e Statistica di Bankitalia, in una recente audizione sul Def ha posto l’accento sul fatto che «un’ulteriore proroga di natura temporanea degli sgravi contributivi – (cuneo fiscale) – accrescerebbe l’incertezza sull’evoluzione futura dei conti pubblici».

Con la proroga, «il disavanzo sarebbe superiore rispetto a quello tendenziale a legislazione vigente di circa un punto percentuale del Pil in media d’anno nel triennio 2025-27, rimanendo al di sopra del 3% in tutti gli anni dell’orizzonte previsivo».

Senza contare la necessità di investire nella sanità, dove la Corte dei Conti ha giudicato gli stanziamenti «non in grado» di evitare il decadimento dei servizi offerti.

La strada verso la prossima manovra appare già in salita. Secondo l’Upb, servono oltre 18 miliardi per replicare nel 2025 le misure introdotte dall’ultima legge di bilancio solo per quest’anno.

Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici italiani (Ocpi) dell’Università Cattolica di Milano, invece, servirà una manovra per il 2025 da 30 miliardi per stabilizzare il debito e, al contempo, confermare le misure del taglio del debito e dell’Irpef che scadono a fine anno.

Nell’analisi viene spiegato che la previsione di un aumento del rapporto debito-Pil di circa 2,5 punti percentuali tra fine 2023 e 2026 è basato su «ipotesi relativamente ottimistiche per l’andamento del Pil reale, dell’inflazione e delle entrate da privatizzazioni».

Queste tra l’altro sono basate su un quadro a legislazione vigente, in cui non sono rinnovate le politiche di sostegno all’economia che si esauriscono a fine anno. Secondo l’Ocpi, tenendo conto dell’intenzione del governo di rinnovare le misure, «un quadro più veritiero dello stato delle nostre finanze pubbliche comporterebbe invece un aumento del rapporto tra debito e Pil di circa 5,5 punti percentuali entro la fine del 2026».

Così, spiega l’osservatorio, «se si volesse non solo rifinanziare le misure che si esauriranno a fine 2024, ma anche mantenere il rapporto tra debito e Pil intorno ai valori previsti a fine 2024 (137,8%), occorrerebbe introdurre misure correttive per circa 30 miliardi».

Un rebus per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, chiamato in prima battuta alla ricerca di una quadra. Sotto lo sguardo vigile e attento della Ue.

Fed verso un taglio dei tassi non prima di dicembre


Un taglio dei tassi di interesse da parte della Fed non ci sarà prima di dicembre. E’ quanto indica l’andamento degli swap dopo il deludente dato sul pil americano, che segnala una frenata dell’economia in presenza di persistenti pressioni inflazionistiche.

La Fed si riunirà la prossima settimana e gli analisti attendono indicazioni dal presidente Jerome Powell nel corso della conferenza stampa che seguirà la riunione.

Ecco cosa succede se mangi la rucola e non molti lo sanno!


I tanti benefici della rucola

La rucola è un’insalata speciale, dal gusto tutto suo: non tutti infatti la amano, la maggior parte delle persone la mangia solo quando guarnisce una pizza. Eppure, una volta scoperte le sue notevoli qualità, probabilmente desidererete mangiarne di più! Infatti quando si mangia rucola con regolarità si ottengono benefici per la salute, il metabolismo e la ritenzione idrica.

Ottima come prevenzione contro il cancro

Il beta carotene contenuto nelle sue foglie aiuta a prevenire il cancro allo stomaco, alla prostata ed al colon. 

Tanto gusto e poche calorie!

La rucola contiene, tra l’altro, pochissime calorie (circa 25 kcal ogni 100 g). Una bella insalatona di rucola, ceci, pomodori, uova soda e formaggio, unita a due fette di pane rappresenta un pasto completo e sano. Cosa volete di più? 

Stimolante del metabolismo e aiuta a dimagrire

Grazie alla presenza della vitamina B, la rucola contribuisce a dinamizzare il metabolismo, favorendo quindi una maggiore perdita di peso.

Una tisana dal potere calmante e digestivo

Il suo alto potere calmante, quando assunta sotto forma di tisana calda, è riconosciuto. Non solo, la rucola aiuta anche la digestione. I suoi componenti favoriscono infatti la produzione di succhi gastrici.

Ma non solo, quest’erba vanta proprietà che proteggono la mucosa gastrica, attenuando e prevenendo l’acidità. 

Incredibili proprietà drenanti

La rucola possiede anche proprietà drenanti e depurative, combattendo la ritenzione idrica, responsabile, tra le altre cose, dell’odiata cellulite. 

Autovelox approvato e omologato, le differenze e come riconoscerlo


Autovelox, terrore degli automobilisti e al centro anche della revisione del codice della strada voluta dal ministro Matteo Salvini, ambasciatore della protesta contro il proliferare degli apparecchi per monitorare la velocità dei veicoli e in caso di superamento dei limiti far partire l’iter per la multa.

Dopo i fatti di Treviso con la Cassazione ad annullare una multa per eccesso di velocità perché questa è stata rilevata da un autovelox approvato ma non omologato si apre la questione: tutte le multe sono contestabili? Come si fa a sapere se l’autovelox che mi ha “pizzicato” rispetta in pieno la legge?

Approvazione o omologazione?

C’è da dire che le differenze tra approvazione e omologazione di un autovelox sono sottili, specialmente per colpa di una mancata chiarezza da parte del ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Tali termini infatti vengono affiancati, dando loro significati molto simili, all’interno dell’articolo 192 del Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada (quello del 1992).

Per esempio il comma 1 recita

Ogni volta che nel Codice e nel presente regolamento è prevista la omologazione o la approvazione di segnali, di dispositivi, di apparecchiature, di mezzi tecnici per la disciplina di controllo e la regolazione del traffico, di mezzi tecnici per l’accertamento e il rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione, di materiali, attrezzi o quant’altro previsto a tale scopo, di competenza del ministero dei Lavori pubblici, l’interessato deve presentare domanda, in carta legale a tale dicastero indirizzandola all’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale, corredata da una relazione tecnica sull’oggetto della richiesta, da certificazioni di enti riconosciuti o laboratori autorizzati su prove alle quali l’elemento è stato già sottoposto, nonchè da ogni altro elemento di prova idoneo a dimostrare l’utilità e l’efficienza dell’oggetto di cui si chiede l’omologazione o l’approvazione e presentando almeno due prototipi dello stesso. Alla domanda deve essere allegata la ricevuta dell’avvenuto versamento dell’importo dovuto per le operazioni tecnico-amministrative ai sensi dell’articolo 405.

Secondo il cds quindi si tratta di processi sovrapponibili, ma così non è, almeno secondo diverse sentenze emesse negli ultimi anni, nonostante in una circolare diffusa nel 2020 dal ministero dei trasporti si ribadisca come omologazione e approvazione, pur differenti, abbiano lo stesso valore.

Si legge infatti: 

La differenza tra un procedimento di omologazione e uno di approvazione è da ricercarsi unicamente nel fatto che per il primo esistono le relative norme tecniche di riferimento, europee e/o italiane, specifiche per la funzione fondamentale svolta dal dispositivo/sistema, mentre per il secondo manca tale riferimento. Ciò non significa che nel caso dell’approvazione non si seguano procedure standardizzate e non vengano verificate le funzionalità e i requisiti dei medesimi dispositivi, in modo omogeneo.

Pertanto, una volta approvati, i dispositivi possono essere utilizzati per l’accertamento delle violazioni, parimenti a quelli omologati.

In poche parole un autovelox omologato segue regole fondamentali e ben definite a livello nazionale e comunitario e sono in capo al ministero per lo sviluppo economico, un autovelox autorizzato invece non ha riferimenti tecnici e amministrativi così dettagliati. In ogni caso comunque gli apparecchi devono essere tarati almeno una volta l’anno, così da evitare errori nella lettura della velocità degli autoveicoli 

Ci vuole tempo

Per capire se un autovelox è omologato ci si può prima di tutto affidare al verbale, dove possono essere riportate le specifiche dell’apparecchio.

In caso contrario bisogna armarsi di pazienza e fare in fretta. Nel momento in cui ci viene notificata la multa infatti si può fare istanza di accesso agli atti amministrativi presso l’organo di Polizia che ha rilevato l’eccesso di velocità. Si può scegliere se accontentarsi dell’esibizione del certificato di omologazione o ricevere una copia.

Le differenze principali risiedono nelle tempistiche richieste. Va comunque sottolineato che, una volta interpellato, l’organo di Polizia avrà 30 al massimo giorni per rispondere, senza andare oltre i tempi consentiti per il ricorso.

Se, passati i termini temporali, non viene comunicata una risposta l’automobilista può rivolgersi alle autorità competenti (giudice di pace o prefetto) per chiedere l’annullamento. Lo stesso avviene, in automatico, se il certificato di omologazione dell’autovelox non esiste.

Lo stesso procedimento burocratico è da seguire se si vuole verificare l’avvenuta taratura dell’autovelox, comunque indicata all’interno del verbale con la dicitura “L’apparecchiatura utilizzata è stata sottoposta alla visita periodica di taratura”.

Informazione che in determinati casi è sottolineata con l’indicazione della data precisa di avvenuta taratura. 

L’avviso del Codacons

Quello che è certo è che la recente sentenza della Cassazione in tema autovelox non aiuta a fare chiarezza.

Molti automobilisti infatti sono speranzosi di potersi vedere annullate le sanzioni amministrative.

In questo caso il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) prova a fare chiarezza sull’argomento per bocca del proprio presidente Carlo Rienzi. 

“Va chiarito subito che la sentenza della Cassazione non porta affatto ad una raffica di ricorsi e al conseguente annullamento delle multe elevate dagli autovelox”

Dall’IA potenziale straordinario, prevede terremoti


Le potenzialità dell’intelligenza artificiale in campo assicurativo sono “straordinarie” e vanno dalla possibilità di dimezzare gli errori nelle diagnosi mediche entro il 2025 alla capacità di prevedere i terremoti.

Sono alcuni degli esempi indicati dall’innovation leader di Deloitte Central Mediterranean, Andrea Poggi, all’evento Innovation by Ania.

Oggi 250 milioni di persone usano l’intelligenza artificiale e sono attese a salire a 700 milioni entro il 2030. Ogni settimana nuovi player creano il loro modello di linguaggio di Generative Ai e il mercato dell’Ai ha un crescita attesa del 28% annuo fino al 2030.

Sei ambiti di applicazione in particolare influenzeranno il settore assicurativo: sanità, casa, mobilità, risparmio, cybersicurezza e clima.

Tra i dati citati, per la protezione della casa, “nell’arco dei prossimi quattro anni 800 milioni di persone avranno una smart home”, basata su dispositivi iot e Ai.

Nell’ambito del risparmio, già oggi 1.800 miliardi di dollari sono gestiti da modelli basati sull’intelligenza artificiale e “si stima che questo ammontare di asset raddoppierà in quattro anni”.

E nel campo delle catastrofi naturali, l’università del Texas è in grado grazie “di prevedere il 70% dei terremoti con una settimana di anticipo”.

Esercizi per attivare la materia grigia


Come mantenere il cervello giovane e attivo: consigli ed esercizi

Se fino a qualche anno fa si riteneva che il cervello, una volta trascorse le fasi di infanzia e adolescenza, terminasse la produzione di cellule nuove per avviarsi a un lento declino degenerativo, oggi le nuove ricerche sul campo mostrano un’evoluzione differente nell’ambito del grande mistero che circonda questa materia.

Cruciverba, una dieta sanasport e movimento, lettura e nuovi stimoli e hobby mantengono in forma il nostro cervello.

Ecco alcuni consigli ed esercizi per mantenere il cervello giovane e attivo a ogni età.

Per potenziare il cervello, l’uso che facciamo della nostra materia ha un’importanza fondamentale: inizia ad allenare il tuo cervello ogni giorno. Per esempio facendo attività fisica come andare in bicicletta, fare le scale a piedi, camminare, correre, qualsiasi attività per movimento.

Cruciverba e rebus ti aiutano a esercitare memoria e capacità di connessione: tieni presente che oltre alla logica è bene sviluppare una modalità intuitiva del pensiero, focalizzando sensazioni e collegamenti non lineari e non razionali.

Approfondire informazioni nuove e curiositàleggi i quotidiani e trova i tuoi siti d’informazione preferiti. 

Rimanere aggiornati è un modo per rimanere al corrente di ciò che ci circonda, ma costituisce anche uno stimolo importante per mantenere attiva la nostra capacità di apprendere.

Fare degli hobby e passatempi come quando eravamo bambini. Si al gioco di carte che aiuta memoria e intuito, disegnare, scattare fotografie.

Ogni hobby costituirà un ottimo esercizio per mantenere giovane il cervello.

Per tenere la mente giovane è fondamentale mangiar bene. Secondo numerose ricerche la dieta mediterranea fa bene al cervello, senza contare gli effetti benefici di frutta e verdura sull’umore e le capacità celebrali.

Mantenere il cervello attivo e giovane: come riuscirci?

Per mantenere sempre il cervello giovane e attivo, ecco alcuni esercizi da fare. Un’attività poco conosciuta ma utile è di combinare parole e colori: è un esercizio che sembrerà banale ma, una volta provato, se ne capisce l’utilità. Basta procurarsi dei cartoncini e dei pennarelli colorati.

Su ogni cartoncino si deve scrivere il nome di un colore utilizzando però l’inchiostro di un altro colore. Una volta terminato, bisogna leggerli velocemente, facendo attenzione a non associare il colore che si è usato al nome. Per fare questo ci si dovrà concentrare, usando al meglio le proprie capacità mentali.

Invertire la destra con la sinistra; in base a quale è la propria mano dominante, è consigliato provare a scrivere ogni giorno qualche frase usando l’altra mano. All’inizio si sarà goffi e impacciati ma in seguito si diventerà sempre più agili, con miglioramenti nella grafia.

E perché non provare ad utilizzare la mano non dominante nei piccoli gesti quotidiani come cucinare, lavarsi i denti, pettinarsi, scrivere al cellulare?

Scrivi sempre più spesso: abituati a portare in borsa, anche quando non sei in vacanza, un’agenda: impegnati a descrivere non solo azioni o luoghi visitati, ma soprattutto i tuoi stati d’animo.

Scrivere un diario costituirà un momento proficuo per riflettere sugli eventi e fare chiarezza dentro di te.

Carlos Tavares – I cinesi hanno un vantaggio sui costi del 30% rispetto alle case europee


Carlos Tavares nei giorni scorsi è tornato a parlare del problema relativo alle case automobilistiche cinesi per quanto riguarda la diffusione delle loro auto elettriche low cost che potrebbero rappresentare un bel problema per i produttori europei.

Secondo il numero uno del gruppo Stellantis il problema non risiede tanto nella tecnologia, cosa su cui i cinesi secondo alcuni sarebbero in vantaggio, ma si tratterebbe di un problema prettamente di costi.

Il vantaggio delle case cinesi sulle europee riguarda i costi e non la tecnologia secondo Carlos Tavares

Carlos Tavares in proposito ha dichiarato: “Non credo che il divario sia principalmente tecnologico, ma piuttosto una questione di costi.

Tuttavia, se parliamo di tecnologia, un aspetto sorprendente che caratterizza l’Europa è la qualità dell’istruzione scientifica. Nonostante le osservazioni critiche, il livello di competenza scientifica rimane notevolmente elevato nel continente europeo”.

“Non credo che ci sia un divario tecnologico rispetto ai cinesi, poiché le menti europee sono eccellenti. Tuttavia, è essenziale stimolarle, porre domande e offrire sfide per ottenere sempre risposte di alta qualità.

Purtroppo, stiamo assistendo alla tendenza degli europei a emigrare, esportando così le nostre risorse umane più preziose” ha aggiunto Carlos Tavares. 

“Il nostro principale ostacolo è vivere in un sistema che, sebbene legittimo e democratico, non è competitivo in termini di costi rispetto al resto del mondo.

Questo presenta una sfida significativa nella competizione globale. Ad esempio, i costi inferiori dei produttori cinesi, con un vantaggio del 30%, consentono loro di vendere auto elettriche a prezzi paragonabili a quelli delle auto a benzina, mentre noi lottiamo per farlo.

La competitività economica diventa quindi un problema che richiede soluzioni complesse e innovative”.

Malattia X, l’allerta degli scienziati: «Il virus dell’influenza causerà la prossima pandemia». Vaccini e mascherine, come prevenire


L’ombra di una nuova pandemia incombe sul mondo, e questa volta potrebbe essere guidata dall’influenza.

Un recente sondaggio pubblicato di recente sul “The Guardian”, ha rivelato che il 57% degli esperti di malattie infettive senior crede che un ceppo di virus influenzale sarà il catalizzatore della prossima grande crisi sanitaria globale.

Questo allarme è stato rilanciato in vista del congresso della Società europea di microbiologia clinica e malattie infettive (ESCMID), che si terrà a Barcellona.

La “Malattia X”

Mentre l’influenza è sempre stata una costante preoccupazione sanitaria, portando a morti e malattie gravi ogni anno, gli scienziati ora avvertono su un possibile nuovo agente patogeno, ancora sconosciuto, denominato “Malattia X”.

Secondo il 21% degli intervistati, questo misterioso virus potrebbe sorgere improvvisamente, similmente a quanto accaduto con il Sars-CoV-2 nel 2019. Un ulteriore 15% degli scienziati teme che lo stesso Sars-CoV-2 possa ancora rappresentare una minaccia pandemica. 

L’aviaria

Il virus influenzale H5N1, noto per causare influenza aviaria, sta mostrando segni preoccupanti di mutazione e diffusione.

Originariamente confinato agli uccelli, recentemente ha iniziato ad infettare i mammiferi, inclusi i bovini in 12 stati degli USA. Questa trasmissione interspecie amplifica le preoccupazioni degli scienziati sul potenziale di H5N1 di evolvere in un ceppo pericoloso anche per l’uomo.

Nonostante non ci siano ancora prove di trasmissione di H5N1 tra umani, gli episodi di infezione umana negli ultimi vent’anni mostrano un tasso di mortalità estremamente alto, dovuto alla mancanza di immunità naturale nei confronti del virus.

La comunità scientifica è particolarmente allarmata dalla recente scoperta del virus nei bovini, un evento senza precedenti che aumenta il rischio di un salto di specie ancora maggiore. 

«Significa che il rischio che il virus penetri in un numero sempre maggiore di animali da fattoria, e poi dagli animali da fattoria agli esseri umani, diventa sempre più alto.

Quanto più il virus si diffonde, tanto più aumentano le possibilità che muti e possa diffondersi negli esseri umani. Fondamentalmente, stiamo giocando alla roulette con il virus» ha affermato Jeremy Farrar, capo scienziato dell’Organizzazione mondiale della sanità.

I vaccini

I ricercatori sottolineano la necessità di una migliore preparazione, citando il relativo vantaggio di avere già sviluppato vaccini contro molti ceppi di influenza, incluso l’H5N1. Tuttavia, la logistica di produzione di vaccini su larga scala in risposta a una pandemia rimane una sfida monumentale.

Il ritorno delle mascherine

Jon Salmanton-García, uno degli autori dello studio, critica il ritorno alle vecchie abitudini igieniche pre-pandemiche, come tossire nelle mani e non utilizzare le mascherine.

Avverte che tale negligenza potrebbe avere gravi conseguenze in futuro.

Stop 2035 – Breton: “L’Europa non è pronta ad abbandonare l’endotermico”


Thierry Breton, commissario al Mercato Interno e all’Industria dell’Unione Europea, torna a lanciare un allarme sullo stop europeo alla vendita di nuove auto a benzina e diesel nel 2035.

Sulla base di un documento approntato dalla direzione generale da lui stesso diretta, il commissario avverte dei pesanti ritardi del blocco comunitario nel percorso verso la mobilità a zero emissioni: Breton ha ribadito come la Ue debba apportare “gli aggiustamenti necessari per raggiungere gli obiettivi al 2035” fissati dal Green Deal. 

Non c’è una bacchetta magica. Il commissario, che ha già invitato ad affrontare con lucidità e senza tabù il phase-out, ha quindi ribadito la sua cautela: “Il Green Deal non sarà raggiunto con la bacchetta magica o con un ordine esecutivo di Bruxelles. Tutte le condizioni abilitanti devono essere soddisfatte”.

A tal proposito, i funzionari della direzione di Breton hanno approntato un documento dove si illustrano cinque problematiche che confermano quanto l’Europa non sia pronta a fare il grande passo verso l’elettrico.

I ritardi. 

Il primo problema riguarda il ritmo d’adozione. Nel report si legge, per esempio, che “le vendite di nuovi veicoli elettrici stanno aumentando, ma dovranno crescere di sette volte entro il 2035 per soddisfare la domanda prevista”.

Un secondo nodo riguarda l’accessibilità: “Solo sei modelli sono venduti a meno di 30.000 euro, di cui tre cinesi. Alla data del primo gennaio 2024, non risultano vetture con un prezzo medio inferiore ai 20.000 euro, incentivi esclusi”.

Un terzo ostacolo all’adozione della mobilità alla spina è rappresentato dalle infrastrutture: per quanto in crescita, la rete rimane concentrata in pochi Stati (“il 61% dei punti è in tre Paesi Ue”). Inoltre, non ci sono dati su quanto sia adeguata la stessa rete alle effettive “esigenze di ricarica”.

Il quarto problema è legato ai posti di lavoro e alle competenze: nel testo si sottolinea il “recente decremento” della forza lavoro nell’industria automobilistica e la necessità di riqualificare e formare almeno 700 mila lavoratori entro il 2027.

Infine, non manca un passaggio sull’accesso alle materie prime critiche. Finora, sono stati annunciati progetti di gigafactory in grado di “soddisfare la domanda” e non solo, ma “serve una rapida accelerazione dei lavori di costruzione”. Sul fronte della produzione di anodi e catodi, invece, la capacità è ritenuta insufficiente, col rischio di alimentare “gravi dipendenze” sul fronte dei componenti delle batterie.

La Cina. Insomma, dall’interno della stessa commissione europea arriva un chiaro avvertimento sul difficile percorso voluto dalle istituzione europee nonostante i continui allarmi dell’intera filiera.

Tra l’altro, Breton non manca di tornare sulla questione della concorrenza cinese, sottolineando come il Dragone “stia prendendo il sopravvento”.

A tal proposito, nel documento del commissario si legge che “le elettriche made in China stanno aumentando in modo esponenziale”, come dimostrato dalla quota di mercato schizzata dall’1% del 2021 al 20% del 2023, fino al 25% della prima parte del 2023.

“Non possiamo misurare il successo verso la mobilità a zero emissioni solo in base al numero di Bev vendute”, conclude Breton.

“Ed è preoccupante che un’auto elettrica su cinque venduta nell’Ue l’anno scorso sia stata prodotta in Cina”. 

Istat rivede deficit/Pil 2023 a 7,4% da 7,2% per Superbonus


Istat ha rivisto al rialzo il rapporto deficit/Pil per il 2023 al 7,4% dal 7,2% stimato dall’istituto lo scorso 1° marzo e confermato a inizio aprile.

La revisione comunicata stamani da Istat è contenuta nella Notifica sull’indebitamento netto e sul debito delle Amministrazioni pubbliche secondo il Trattato di Maastricht.

L’istituto di statistica precisa gli ultimi dati tengono conto delle “più recenti evidenze quantitative sulla spesa per i crediti d’imposta connessi al cosiddetto Superbonus”, e che le informazioni sulla cessione del credito o dello sconto in fattura “non sono ancora definitive per una possibile fisiologica stabilizzazione del dato di base nei prossimi mesi”.

Lo scorso anno il deficit è andato ben oltre il 5,3% stimato dal governo, dopo l’8,6% registrato nel 2022.

Ristrutturazione delle case richiede 275 miliardi all’anno


“La ristrutturazione degli edifici in Europa ha un divario di investimento di 275 miliardi di euro ogni anno: senza un finanziamento adeguato rischiamo di mettere a repentaglio gli obiettivi del 2030 e il nostro percorso verso la neutralità climatica entro il 2050”.

Lo ha detto la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, intervenendo all’evento di lancio della Coalizione europea per il finanziamento dell’efficienza energetica. 

Superbonus, una pesante eredità da oltre 170 miliardi sui conti pubblici. Ripetute deroghe e correzioni hanno aggravato il debito


Il Superbonus ha indubbiamente avuto un impatto significativo sui conti pubblici italiani, lasciando una pesante eredità per il futuro economico del paese.

Nonostante il governo abbia cercato di contenere e mitigare gli impatti devastanti, concedendo ripetute deroghe, non è riuscito a farlo. Secondo l’analisi condotta dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), il Superbonus e il bonus facciate hanno comportato una spesa di 170 miliardi nel quadriennio 2020-2023.

Numeri, ben al di là delle aspettative iniziali, sollevano preoccupazioni sul debito pubblico e sull’efficacia delle misure.

Anche gli incentivi alla Transizione 4.0 hanno presentato rischi di perdite di gettito crescenti nel tempo, 30 miliardi nel triennio 2021-2023, evidenziando la necessità di un monitoraggio più rigoroso sia prima che dopo l’utilizzo delle agevolazioni.

Nella valutazione complessiva, spiega l’Upb, va comunque considerato che gli effetti tendenziali per il 2024 e 2025 potrebbero essere in parte sostituiti dai nuovi incentivi legati a Transizione 5.0.

L’effetto pesante del Superbonus sul debito pubblico

Una delle principali criticità del Superbonus risiede nell’entità dell’agevolazione, completamente a carico dello Stato, che ha incentivato una spesa fuori controllo.

L’allargamento degli obiettivi e le ripetute proroghe della misura hanno alimentato un’affrettata corsa agli interventi, mentre l’aumento dei prezzi delle materie prime ha inflazionato ulteriormente i costi dei lavori, aggravando il carico finanziario.

Tuttavia, uno dei principali problemi è stato l’effetto sul debito pubblico. Le detrazioni per i lavori edilizi, spalmate su più anni, hanno avuto un impatto significativo sul debito, con un aumento previsto dell’onere annuo sul PIL dallo 0,5% all’1,8% nel triennio 2024-2026.

Stime che fanno dire all’Upb che “la differenza tra i risultati e le attese è stata macroscopica e senza precedenti”.

Per mitigare questo impatto, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha proposto di estendere le detrazioni su 10 anni anziché quattro.

Secondo calcoli dell’Autorità dei conti pubblici, questa estensione potrebbe ridurre il debito/PIL dallo 137,8% al 137,3% nel 2024 e dal 138,9% al 137,9% nel 2025, con un impatto meno pesante sul triennio 2024-2027, sebbene scarichi un peso maggiore sul 2028-2033.

Compensazioni in aumento

Nel frattempo, le compensazioni hanno registrato un vero e proprio boom, con un aumento previsto nell’ammontare dovuto agli investimenti edilizi effettuati nel 2023.

Questo trend è già evidente nel primo trimestre del 2024, con le compensazioni che hanno superato di gran lunga quelle dell’anno precedente. Nel dettaglio, sono state pari a 14,3 miliardi di euro, più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e oltre il 68% in più rispetto all’intero 2023.

bonus stamp

Come riformare il Superbonus e i bonus edilizi?

L’esperienza del Superbonus offre preziose lezioni per le politiche future. L’Upb ha suggerito riforme mirate a ridefinire i bonus edilizi, tra cui criteri selettivi, limiti di spesa e monitoraggio preventivo per contrastare i comportamenti fraudolenti.

Si propone anche di sostituire le agevolazioni con trasferimenti monetari o prestiti agevolati, adattati alla situazione economica delle famiglie e alla classe energetica degli edifici.

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La svolta green non paga, le aziende corrono ai ripari


È davvero una novità interessante quella annunciata dall’amministratore di Unilever, Hein Schumacher, che ha dichiarato che il suo gruppo «abbandonerà o attenuerà una serie di impegni ambientali e sociali», anche per rispondere alla crescente reazione proveniente da quegli investitori, consumatori e politici che non vedono di buon occhio il perseguimento di obiettivi non finanziari.

Se altri colossi industriali seguiranno questa strada, si potrà dire di avere voltato pagina, dato che da più di un decennio la Unilever è uno dei soggetti più attivi in quelle politiche dette Esg (ecologiche, sociali, governative) che assegnano alle aziende un profilo moraleggiante, allineandole al politicamente corretto.

Quella di Schumacher non è certo un’opzione ideologica, ma semmai la presa d’atto che non è facile porsi come obiettivo quello di «fare bene al mondo» (secondo l’agenda fissata dal progressismo imperante) e al contempo far quadrare i conti.

E così se prima l’Unilever si proponeva di dimezzare il ricorso alla plastica entro il 2025, ora l’ambizione è di ridurlo di un terzo entro il 2026. Stesso discorso per l’utilizzo di modelle aventi «differenti bellezze», perché alla fine chi produce lo fa per i consumatori e la realtà, in molti casi, finisce per imporre le proprie regole.

La scelta della multinazionale britannica di andare controcorrente può comportare rischi. È vero che, con i suoi 400 prodotti, Unilever si rivolge essenzialmente al pubblico, ma il sistema regolamentare è tale per cui qualsiasi azienda può essere spazzata via dai padroni delle leggi.

Schumacher avrà valutato, da un lato, le possibile rappresaglie del mondo politico-intellettuale e, dall’altro, i vantaggi derivanti dal prestare più attenzione ai clienti e quindi anche ai costi.

Il vizio di fondo dell’Esg sta nel costruire un ordine dogmatico: un insieme di presunti valori assoluti che ognuno di noi dovrebbe rispettare.

È solo positivo, allora, che nel mondo del business qualcuno inizi a muoversi in un’altra direzione.

Case smart – Cosa non può mancare per una vita green e senza stress


La strada per un futuro più ecologico passa anche dalle tecnologie applicate alle nostre abitazioni: la domotica è già in mezzo a noi e le case intelligenti, ovvero dotate di dispositivi, sistemi ed elettrodomestici collegati attraverso un’unica rete condivisa, sono realtà già per milioni di persone in tutto il mondo.

Dai comandi vocali alle app installate sullo smartphone per controllare le funzioni principali e automatizzare le attività quotidiane, le nostre vite sono certamente agevolate.

Non si tratta però solo di comodità, ma anche di risparmio economico e riduzione degli sprechi: insomma, le case intelligenti ci aiutano a fare la nostra parte nella battaglia contro il riscaldamento globale.

La gestione energetica. 

Prendiamo la gestione dell’energia: una casa in grado di integrare varie fonti , dalla batteria di backup all’impianto fotovoltaico, per finire con l’energia proveniente dai veicoli elettrici, permette di ottimizzare l’utilizzo degli elettrodomestici e di tutti gli apparecchi elettronici con un semplice tocco sull’app di uno smartphone, scegliendo cosa caricare o alimentare, quando e per quanto tempo.

Allo stesso modo, tali sistemi possono prevenire la dispersione di energia disattivando le prese in determinati momenti della giornata o per lunghi periodi, senza necessità di essere fisicamente a casa.

Frigoriferi, illuminazione, riscaldamento. 

Non cambieranno il destino del mondo, ma i frigoriferi intelligenti possono aiutare a ridurre gli sprechi, sia energetici quelli della Samsung, per esempio, possiedono la funzione AI mode, che permette di risparmiare il 10% di energia in più rispetto a un pari classe sia di cibo.

Possono infatti rilevare le fluttuazioni della temperatura interna, assicurando che gli alimenti siano mantenuti sempre alla temperatura ideale.

Ciò che invece può fare la differenza in casa per ridurre le emissioni e i consumi passa attraverso il controllo di due aree fondamentali: illuminazione e riscaldamento.

Innanzitutto, per gestire tutti gli impianti di casa può essere una buona idea sostituire gli interruttori a parete con un pannello touchscreen per controllare tutti dispositivi elettronici da un solo punto, senza doversi necessariamente alzare; inoltre, gli impianti di “smart lighting” rilevano quando si entra nella stanza e accendono automaticamente le lampadine.

Le ultime versioni a Led, oltretutto, durano dieci volte di più di quelle standard e consumano solo 8,5 watt contro i 60 delle vecchie lampadine meno efficienti, permettendo inoltre di modificare la tonalità e il colore della luce con un semplice comando vocale.

Riscaldamento e condizionamento. 

Per risparmiare davvero, però, non si può fare a meno di un sistema di riscaldamento e condizionamento automatizzato e dotato di intelligenza artificiale: quest’ultimo non solo permette di gestire la temperatura della casa da remoto attraverso lo smartphone, ma apprende le abitudini dei suoi abitanti, spegnendosi e accendendosi in base ai ritmi di vita e ai cambiamenti ambientali, permettendo un significativo risparmio energetico mensile.

A quel punto, si può decidere di investire i soldi risparmiati nel letto intelligente 360 i8 della Sleep Number, che consente di regolare la rigidità di ciascun lato in modo indipendente, con l’applicazione companion che tiene traccia delle tendenze del sonno studiando soluzioni personalizzate per dormire meglio.

Bce, probabile rallentamento inflazione, ma rischi sono duplici – Lagarde


È probabile che l’inflazione della zona euro si riduca ulteriormente e la Banca centrale europea potrebbe tagliare i tassi di interesse se i suoi target di crescita dei prezzi saranno rispettati.

Lo ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde.

“Allo stesso tempo, il Consiglio direttivo non si sta pre-impegnando su un particolare percorso dei tassi”, ha detto Lagarde, ribadendo le indicazioni più recenti della banca centrale.

“I rischi per le prospettive dell’inflazione sono duplici”, ha aggiunto Lagarde.

“I rischi al rialzo includono l’acuirsi delle tensioni geopolitiche, nonché una crescita salariale più elevata e margini di profitto più resistenti del previsto”.

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10 cose indispensabili da portare con sé in un rifugio di montagna


Dormire in un rifugio di montagna d’alta quota è un’esperienza fantastica: il silenzio delle montagne, lo spettacolo dell’alba e del tramonto, l’immersione totale nella natura e il clima rilassato dei rifugi sono la quintessenza del piacere di pernottare in queste strutture spartane ed essenziali.

E sì, proprio perché sono in alta quota, sono spartane e sono essenziali, non ci si può attendere un trattamento da hotel a 5 stelle, anzi: pernottare in un rifugio di montagna d’alta quota significa fare i conti con ciò che davvero è utile e ciò che invece è superfluo e si può lasciare a casa.

Cosa portare in un rifugio di montagna

E allora, che sia un trekking estivo oppure dello sci alpinismo da rifugio a rifugio ci sono almeno 10 cose indispensabili, in estate come in inverno e al netto dell’equipaggiamento specifico per l’attività che si pratica e la stagione in cui lo si fa, da mettere assolutamente nello zaino.

Sacco lenzuolo (o sacco a pelo)

Nei rifugi non ci sono le lenzuola: bene che vada ci sono dei letti a castello, altrimenti tavolacci con posti letto affiancati, con un materasso e una coperta, spesso di lana.

Quindi se si vuole risparmiare sul peso ci si porta appresso un sacco lenzuolo, di quelli con anche il cappuccio per la testa, altrimenti il sacco a pelo. Per essere sicuri li si stende sul proprio posto letto all’arrivo, e quando si parte si piegano le coperte e si lascia tutto in ordine.

Lampada frontale

Spesso nei rifugi l’energia elettrica è contingentata per poche ore. Il che significa che se ti devi alzare di notte per andare in bagno non c’è una luce da accendere e, al netto di qualche lampada di emergenza, sei immerso nel buio.

La cosa più pratica è una lampada frontale, meglio se di quelle a intensità regolabile che tanto non hai bisogno di illuminare l’intera valle per sgattaiolare fuori dal letto nel cuore della notte.

Borraccia per l’acqua

Altro bene prezioso e limitato. Vuoi perché i rifornimenti in quota sono sempre complicati e problematici, vuoi perché talvolta i rifugi si trovano a monte delle fonti d’acqua.

Il che significa che all’acqua da bere è meglio pensarci in autonomia, portandosi appresso la propria borraccia e mantenendola sempre piena.

Caricabatterie

Ora molti rifugi si sono dotati di pannelli solari, altri continuano a usare i generatori di corrente, in ogni caso anche l’energia elettrica potrebbe essere un bene a disponibilità limitata.

Se ti porti appresso qualche gadget elettronico (non necessariamente lo smartphone, che spesso in quota non c’è segnale, ma magari l’orologio con il navigatore Gps, o la fotocamera, o la GoPro) devi arrangiarti a ricaricare le batterie: ci sono i carica batteria portatili oppure quelli con pannelli solari, dipende da quanta carica hai bisogno.

Intimo di ricambio

Ok, in montagna non ci si lava (o ci si lava molto poco) ma questo non significa che almeno a sera non ti puoi togliere l’abbigliamento tecnico e indossare qualcosa di (relativamente) pulito e comodo.

Possono bastare: un secondo paio di calze e mutande, un t-shirt anche di cotone per dormire e un paio di pantaloni (in base alla stagione: anche corti d’estate, dei tight in inverno).

NB: in un rifugio di montagna non si entra con gli scarponi, che vanno lasciati nella scarpiera dove si trovano anche delle pantofole di ricambio; se non ami calzare quelle in dotazione conviene che te le porti da casa.

Coltellino svizzero multiuso

Non si sa bene perché, ma non si sa mai; fosse anche solo per sistemare un’unghia o una vescica, il coltellino svizzero multiuso nello zaino deve sempre trovare posto.

La volta in cui servisse, giustificherà tutte le altre in cui non se n’è avuto bisogno.

Sacchetto per i rifiuti

In ogni rifugio di montagna c’è un cartello che parla molto chiaro: portate a valle i vostri rifiuti.

Il che significa che non c’è un bidone della pattumiera e che la propria spazzatura torna con noi, in un vero trekking a impatto zero.

Quindi un sacchetto di plastica di quelli della spesa, da annodare con le proprie maniglie, è da mettere sempre nello zaino.

Asciugamano

Sì, certo, non ci si lava. Però un minimo sì, ci si lava, fossero solo i denti e il viso alla fontanella all’aperto.

E non è che sul letto si trovano gli asciugamani. Quindi un piccolo asciugamano di quelli ad asciugatura rapida è indispensabile.

Nastro adesivo 3M

Come il coltellino svizzero: non si immaginano le volte in cui davvero può servire. Un capo che si strappa, la borraccia da isolare, qualcosa da fissare.

Un piccolo rotolo di nastro adesivo 3M è sempre da tenere nello zaino.

Contanti

Spesso nei rifugi non c’è il segnale telefonico, figurati se arriva il bancomat. Quindi cash sempre in tasca perché per tutto il resto c’è Mastercard, ma solo a valle.

Bastoncini da trekking per la montagna: 6 consigli per sceglierli


bastoncini da trekking per camminare in montagna sono ormai nell’attrezzatura indispensabile di moltissimi escursionisti. Se infatti ci sono ancora molti che preferiscono non usarli, è indubbio che sempre più appassionati di camminate in montagna ne apprezzano l’utilità.

Infatti, se regolati correttamente, i bastoncini da trekking permettono di: mantenere un passo regolare nei tratti più pianeggianti; sostenere il peso del corpo e dello zaino, scaricandolo in pare da schiena e gambe; garantire equilibrio nei passaggi più tecnici come i traversi; offrire sostegno nelle salite; offrire appoggio nelle discese.

È per questo che, insieme all’abbigliamento giusto per la montagna e ad alcuni semplici consigli per fare belle passeggiate in estate in quota, se ne raccomanda l’uso. Ma per assolvere a tutte queste funzioni bisogna saper scegliere i bastoncini da trekking adatti a sé e all’uso che se ne intende fare.

6 consigli per scegliere i bastoncini da trekking per camminare in montagna

I bastoncini da trekking per camminare in montagna fanno parte a tutti gli effetti dell’attrezzatura tecnica e non è così semplice sceglierli. Sono infatti molte le caratteristiche dei bastoncini da trekking da considerare al momento dell’acquisto:

  • Lunghezza massima e minima
  • Numero di sezioni
  • Sistema di regolazione
  • Materiale di costruzione
  • Tipologia e materiale dell’impugnatura
  • Tipologia e materiale della punta

Quanto devono essere lunghi i bastoncini per la montagna

La stragrande maggioranza oggi sono bastoncini da trekking telescopici, cioè sono dotati di 2 o 3 sezioni di tubo e hanno quindi una lunghezza minima e massima.

Tendenzialmente la lunghezza minima di un paio di bastoncini da trekking è intorno ai 60 cm, con una variabile di più o meno 5 cm. Quei 10 cm di differenza si notano quando li riponi nello zaino da trekking o al suo esterno: considera se averli che sporgono molto può essere un fastidio oppure no (e in alcuni casi lo può essere, non tanto per il peso quanto perché potrebbero impigliarsi in rami o pietre sporgenti).

La lunghezza massima invece è direttamente dipendente dall’altezza di chi li usa: siccome la regolazione corretta è tenendo il gomito aderente ai fianchi e piegato a 90°, va da sé che una persona alta 190 cm dovrà avere bastoncini da trekking più lunghi di una alta 160 cm.

Cosa interessante da sapere: esistono bastoncini da trekking da bambini / ragazzi che hanno le stesse caratteristiche di quelli da adulti tranne che sono più corti e con le impugnature di sezione ridotta; esistono anche bastoncini da trekking da donna con le stesse caratteristiche di quelli da ragazzi / bambini (e in più a volte dei colori considerati più femminili) e spesso le donne si rivolgono ai modelli junior proprio per questioni di lunghezza e diametro dell’impugnatura.

Bastoni da trekking: numero di sezioni e tubi

Il numero di sezioni influisce sulla possibilità di allungare e regolare i bastoncini da trekking: quelli più lunghi hanno normalmente 3 sezioni, per fare in modo di non essere mai al limite della regolazione, quelli più corti ne hanno 2.

Ma più che il numero di sezioni è la tipologia di regolazione che può fare la differenza: esistono dei modelli pieghevoli a incastro, che però hanno una lunghezza fissa, e altri con dei sistemi di fissaggio delle sezioni di tubo che permettono di regolare con precisione la lunghezza.

Sistemi di regolazione dei bastoncini da trekking

Esistono sostanzialmente 2 sistemi di regolazione dei bastoncini da trekking: quello a espansione e quello con le levette.

Il sistema a espansione prevede di avvitare e svitare i diversi tubi per stringerli alla misura giusta o allentarli per farli scorrere e regolarli. È un sistema tutto sommato veloce, che non appesantisce i bastoncini ma che, nei modelli entry-level, spesso ha il difetto di allentarsi durante l’uso e perdere presa con l’usura e il tempo.

Il sistema a levetta, diversamente chiamato da ogni casa produttrice, è simile a quello dei mozzi o dei tubi sella delle biciclette: si alza la levetta e si allenta la presa, si abbassa la levetta e si fissano i bastoncini alla lunghezza desiderata. Questo sistema pesa un po’ di più dell’altro (si parla di grammi, ma da moltiplicare per il numero di passi…) ma normalmente è più saldo durante l’uso e, in alcuni casi, è anche venduto come pezzo di ricambio.

A questo proposito è interessante sapere che alcuni marchi prevedono i pezzi di ricambio per ogni componente dei loro bastoncini da trekking, il che è sicuramente più economico e più ecologico che cambiarli a ogni rottura.

Materiali di costruzione dei bastoncini da trekking

I bastoncini da trekking sono fatti essenzialmente di 2 materiali di costruzione: alluminio, o leghe di alluminio, oppure carbonio.

Ciascun materiale ha i suoi pro e contro.

bastoncini da trekking di alluminio o leghe di alluminio sono sicuramente leggeri, resistenti agli urti e all’usura (qualche marchio li garantisce a vita) e assorbono bene le vibrazioni date dal contatto con il terreno.

bastoncini da trekking in carbonio sono più leggeri di quelli in alluminio, come per i telai delle biciclette trasmettono di più le vibrazioni e come per i telai sono più fragili in caso di caduta. I bastoncini in carbonio costano tendenzialmente più di quelli in alluminio.

Tipologia e materiale dell’impugnatura dei bastoncini da trekking

L’impugnatura è il punto di contatto con i bastoncini da trekking e dalla sua tipologia e dal suo materiale dipendono il feeling e il comfort durante il loro uso.

Esistono essenzialmente 2 tipi di impugnatura: una è una semplice ricopertura del tubo, l’altra è sagomata variamente per facilitare la presa e garantirla più salda. Il secondo tipo è ovviamente più ergonomico, comodo e sicuro, il primo è il tipo basico entry-level per gli usi meno tecnici.

Oltre a ciò alcuni modelli hanno una seconda impugnatura sotto quella principale: è utile quando si affrontano brevi tratti in salita per non doversi fermare ad accorciare i bastoncini. Infine alcuni modelli hanno una specie di manopola anche sopra al tubo che può servire per appoggiare il palmo della mano sia in salita, per darsi lo slancio, che in discesa per appoggiarsi.

Riguardo ai materiali usati per le impugnature dei bastoncini da trekking, sono essenzialmente 3: la plastica PVC, la gomma EVA tipo quella dell’intersuola delle scarpe, il sughero.

La plastica PVC è la più resistente all’usura, però è meno confortevole perché meno morbida e con le mani sudate può risultare scivolosa. Altro vantaggio della plastica è che non si inzuppa, nel caso di uso invernale, per esempio con le ciaspole.

La gomma EVA è porosa e morbida, assorbe bene le vibrazioni, ha un buon grip anche con le mani sudate ma con la neve trattiene un po’ di umidità e tende a consumarsi più in fretta.

Il sughero è sempre meno utilizzato perché è quello più soggetto a usura però ha un ottimo feeling anche con le mani bagnate, soprattutto in termini di saldezza della presa.

Con l’impugnatura bisogna anche considerare i laccioli, che ormai sono tutti in tessuto tecnico sintetico: ciò che fa la differenza è il sistema di regolazione, che può essere più o meno rapido e preciso (quelli a scorrimento sono meno precisi e più lenti da regolare, quelli a clip pesano di più).

Puntale dei bastoncini da trekking

Infine c’è il punto di contatto dei bastoncini da trekking con il terreno, e cioè il puntale. Alcuni modelli hanno una vera e propria punta, altri una punta tagliata con varie zigrinature che aumentano il grip.

Per le passeggiate su sentieri di poca pendenza, tendenzialmente terrosi, possono andar bene anche le prime, per i passaggi più tecnici su pietraie in quota servono i secondi.

Alcuni modelli hanno anche dei sistemi anti-shock ammortizzati nei puntali per ammortizzare l’impatto con il terreno e ridurre le vibrazioni trasmesse a mani, polsi e avambracci: ovviamente questi dispositivi fanno aumentare il comfort ma anche il prezzo dei bastoncini da trekking.

Sempre relativamente al puntale c’è un’ultima annotazione, che riguarda le rondelle: quelle più piccole sono per le camminate estive, quelle più larghe per un uso invernale sulla neve. Normalmente sono vendute entrambe in dotazione e comunque è bene sincerarsi che si possano svitare e cambiare secondo necessità.