TOSCANA: Pienza, Montepulciano, L’abbazia di Sant’Antimo


Uno stupendo viaggio nella Toscana incantevole terra, ricca non solo di storia, paesaggi, buon cibo e vino. Ma dal suo popolo i toscani gente schietta, tenace ma soprattutto con quell’umorismo mordente tipico dei toscani.
Pienza_bannerPienza è un comune italiano di 2.111 abitanti della provincia di Siena in Toscana. È probabilmente il centro più rinomato e di maggiore importanza artistica di tutta la Val d’Orcia. È non molto distante dalla strada statale Cassia e dagli altri due importanti centri della valle, San Quirico d’Orcia e Castiglione d’Orcia.

La città fino al 1462 altro non era che un piccolo borgo di nome Corsignano. L’evento che ne cambiò le sorti fu la nascita nel 1405 di Enea Silvio Piccolomini che 53 anni dopo divenne Papa Pio II.

PAPA PIO IIProprio un viaggio del pontefice verso Mantova lo portò ad attraversare il luogo di nascita e il degrado che trovò lo portò a decidere la costruzione di una nuova città ideale sopra l’antico borgo, affidandone il progetto di rinnovamento all’architetto Bernardo Rossellino: la costruzione durò circa quattro anni e portò alla luce una cittadina armoniosa e con forme tipicamente quattrocentesche.

La morte prematura di papa Pio II chiuse anche la storia della nuova città, che da allora ha subito limitate modifiche.

Pienza è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione, perché è stata insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.

strada-di-PienzaPer la bellezza del suo centro storico rinascimentale nel 1996 Pienza è entrata a far parte dei Patrimoni naturali, artistici, culturali dell’UNESCO, seguita poi nel 2004 dalla stessa zona valliva in cui sorge: la Val d’Orcia.

Storia naturale: nel 2003, nella riserva naturale di Lucciola Bella, sono riemersi i resti fossili di un Etruridelphis giulii (mammifero marino simile ad un delfino) vissuto nella zona oltre 4,5 milioni di anni fa, in un periodo in cui gli attuali calanchi erano il fondale del mare tirrenico. Il fossile è stato considerato dagli studiosi di grande valore scientifico, perché si tratta del reperto più completo della specie esistente al mondo.

Cattedrale2 pienzaGran parte del rilevante patrimonio storico-artistico di Pienza si concentra nella suggestiva piazza dedicata al pontefice Pio II, personalità che tanto ha dato alla cittadina, cercando di farne la sua “città ideale” del Rinascimento.

I suoi progetti, affidati a Bernardo Rossellino, vennero completati solo parzialmente, ma restano tutt’oggi uno degli esempi più significanti di progettazione urbanistica razionale del Rinascimento italiano. Isolata e ben visibile è subito la rinascimentale Cattedrale; di fronte, il Palazzo Comunale e accanto Palazzo Borgia e Palazzo Piccolomini.

Il Romitorio è un complesso di locali scavati nell’arenaria da monaci eremiti e si trova nei pressi di Pienza. Curiosa, in una grotta, è la scultura di una Madonna con sei dita.

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montepulciano

Montepulciano è un comune italiano di 14.234 abitanti della provincia di Siena in Toscana. Il comune è posto a 605 metri sul livello del mare, a cavallo tra la Valdichiana e la Val d’Orcia.
Di antica e lunga storia, Montepulciano ha origini dal popolo degli Etruschi a partire dal IV secolo a.C.

Ha notorietà anche per la ricchezza di ottimi vigneti, dai quali si ricava il Vino Nobile di Montepulciano DOCG.
L’immagine più frequente è quella di un paesaggio ingentilito da una sapiente opera dell’uomo che si armonizza con l’ambiente naturale.

L’urbanizzazione rurale coesiste con centri urbani traboccanti di memorie storiche e mirabili opere d’arte, il tutto incastonato in un paesaggio agricolo, spesso altamente specializzato. Il pensiero corre spontaneo alle dolci colline coperte d’ulivi e vigneti, alla Valdichiana, recuperata nuovamente dalle grandi opere di risanamento dei granducali.
Pur trovandosi a metà strada tra Firenze e Roma, gli etruschi ed i romani lasciarono ben poche tracce su questa terra,
il centro abitato ha caratteristiche di borgo medievale a forma di “S” ed è racchiuso entro tre cerchia di mura, costruite tutte verso il XIV secolo.
Di origine etrusca e fondata, secondo la leggenda da Porsenna, Lucumone di Chiusi; alcuni documenti e reperti rinvenuti in Fortezza, ne fanno risalire l’esistenza già al IV-III secolo a.C. In epoca romana fu sede di un esercito posto a difesa delle strade consolari. Fu evangelizzata da San Donato, vescovo di Arezzo nel IV secolo.

Nel luogo dell’attuale Chiesa della Madonna di San Biagio, esisteva la Sancta Mater Ecclesia in Castello Pulliciano, così in un documento del 715 in epoca longobarda conobbe il suo primo sviluppo; infatti in alcuni atti notarili dell’Archivio dell’Abbazia del SS. Salvatore sull’Amiata, si trovano documenti tra i quali uno dell’806 ed i testimoni, tutti di Montepulciano, erano preti, chierici, un medico e un orafo, segno di un elevato livello civile e culturale.

Nel XII secolo, la Repubblica di Siena volendo sottomettere Montepulciano, libera e ricca, dette inizio ad una serie di guerre, che i Poliziani affrontarono con l’aiuto di Perugia e di Orvieto, ma più assiduamente e con esiti alterni, con l’appoggio di Firenze.

All’inizio del XIII secolo la vitalità della città, promossa dall’intraprendenza della borghesia mercantile, manifatturiera e agricola, prese ad attirare le mire di Firenze e Siena.
Il Trecento fu segnato da forti contese per il potere tra le famiglie maggiori; una relativa stabilità si ebbe sotto la Famiglia Del Pecora che, divisi al loro interno nell’appoggiare Firenze, Siena o Perugia, divennero Signori di Valiano e tiranni di Montepulciano.
Nel 1390 Montepulciano si alleò stabilmente con Firenze, cui premeva disporre di un caposaldo strategico a sud di Siena.
Dagli inizi del Quattrocento a metà del Cinquecento, Montepulciano ebbe il proprio periodo aureo, scandito da stabilità politica, prestigio culturale, fioritura artistica.

Monumento_funebre_di_Bartolomeo_Aragazzi,_alinari,_1852Il XV secolo fu l’epoca dell’umanista Bartolomeo Aragazzi, segretario apostolico di Papa Martino V e del grandissimo poeta Angelo Poliziano.

Un eccezionale fervore edilizio contrassegnò il XVI secolo: architetti quali Antonio da Sangallo il Vecchio, Jacopo Barozzi detto Vignola, Baldassarre Peruzzi, Ippolito Scalza eressero sontuose dimore patrizie, splendide chiese e diversi punti del centro urbano furono abbelliti.
In questo periodo visse il cardinale Marcello Cervini, che sedette sul soglio pontificio per soli 28 giorni con il nome di Marcello II.
Nel 1511, i Poliziani, conclusa la definitiva pace con i Fiorentini, incisero sulla porta e sull’architrave della sala del consiglio la seguente iscrizione: Recuperatio Libertatis, A.D. 1511.

Dal 1559, con la sottomissione di Siena al principato mediceo, Montepulciano perse parte della rilevanza strategica e politica passata, ma mantenne il prestigio. Si stabilirono a Montepulciano storiche famiglie poliziane dei Nobili, Tarugi, Contucci, Bellarmino, Ricci, Cervini, Benci, Cini, Cocconi e numerose altre, che dettero grandi uomini alla Chiesa, alle lettere, alle arti e alle armi: un sommo pontefice, numerosi cardinali, molte decine di vescovi, prelati insigni in grande numero ed una grande quantità di uomini che furono eccellenti in molte discipline.

Uno dei suoi figli più affezionati, il cardinale Giovanni Ricci, nel 1561, ottenne da Papa Pio IV, con il consenso del Granduca, che Montepulciano fosse decorata della sede episcopale e del titolo della città. Montepulciano ottenne così l’elevazione a sede episcopale e si eseguì la successiva demolizione dell’antica pieve per costruire l’imponente cattedrale (1594) su progetto di Ippolito Scalza e secondo i principi della Controriforma, della quale uno dei padri emeriti fu il poliziano cardinale Roberto Bellarmino.
Alla morte del cardinale Giovanni Ricci, il Granduca Ferdinando lasciò i Capitanati di Montepulciano e Pietrasanta al libero governo della Granduchessa Cristina di Lorena che vi rimasero fino alla sua morte, avvenuta nel 1636.

La Granduchessa dette molto impulso alla costruzione della nuova Cattedrale, dove il Vescovo Antonio Cervini, nel 1680 celebrò per primo il Pontificale e fu consacrata nel 1712 dal Vescovo Francesco Maria Arrighi, che nel 1714 consacrò la Chiesa del Gesù.
Nel 1700 il vescovo Cervini consacrò anche la Chiesa di Sant’Agnese e nel 1714 il vescovo Angelo Maria Vantini consacrò la Chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Nel XVIII secolo fiorì l’Accademia degli Intrigati, che, insieme all’attività letteraria, edificò nel 1793 un teatro, negli stanzoni del quattrocentesco Monte di Pietà, come aveva già fatto in precedenza in Via Collazzi ed in Palazzo Comunale.
La lunga stagione lorense segnò per Montepulciano l’inizio di una diffusa ripresa economica e sociale. La bonifica della Valdichiana favorì la ricolonizzazione agricola del fertile fondovalle; la conseguente riorganizzazione del sistema viario facilitò i contatti commerciali.

Con l’Unità d’Italia, Montepulciano (che passò allora dalla provincia d’Arezzo a quella di Siena) s’impose come principale mercato agricolo dell’area, mentre le attività imprenditoriali slittarono verso il fondovalle, attratte dalla ferrovia (presente fin dal 1884) e dalla maggior facilità di collegamento con l’emergente nodo ferroviario di Chiusi.

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abbazia_sant_antimo_002L’abbazia di Sant’Antimo è un complesso monastico premostratense situato presso Castelnuovo dell’Abate, all’interno del comune di Montalcino, in provincia di Siena.

Si tratta di una delle architetture più importanti del romanico toscano

Sant’Antimo
Sono due i santi a cui potrebbe essere intitolata l’abbazia.

Sant’Antimo presbitero
Il primo è citato negli acta Sancti Anthimi dove è narrata la storia, quasi leggendaria, del sacerdote Antimo imprigionato sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano.

Egli guarì e convertì al cristianesimo Pinianus, marito di Licinia, nipote dell’imperatore Gallieno. Pinianus, convertito, si adoperò per salvare i cristiani dalle persecuzioni. Nascosto nella villa di Pinianus lungo la via Salaria, Antimo convertì anche un sacerdote del dio Silvano e l’intera famiglia.

Colpevole di aver infranto il simulacro di quella divinità, Antimo venne gettato nel fiume Tevere con una pietra legata al collo, ma ne uscì incolume. Venne quindi fatto decapitare nel 304 dal console Prisco e venne sepolto nell’oratorio nel quale era solito pregare.

Le sue reliquie sono venerate fin dal 1658 nella chiesa di Sant’Antimo presso Napoli. Secondo una leggenda [senza fonte]papa Adriano I, nel 781, avrebbe consegnato parte delle reliquie dei santi Antimo e Sebastiano a Carlo Magno, che le donò all’abbazia nell’atto della fondazione.

Sant’Antimo diacono
L’altro sant’Antimo a cui far risalire il nome dell’abbazia era un diacono aretino, martirizzato insieme a san Donato nel 352. La Passio Donati narra la storia del miracolo di san Donato.

Secondo la leggenda il vescovo aretino stava celebrando una funzione di ordinazione insieme ai diaconi Antimo e Asterio. Mentre Antimo distribuiva l’eucarestia con un calice di vetro, nel tempio entrarono alcuni pagani che, con violenza, gettarono a terra il calice, mandandolo in frantumi.

Donato raccolse e riunì i frammenti, ma si accorse che mancava un pezzo di vetro nel fondo del calice. Incurante del problema, continuò a servire il vino senza che neanche una goccia uscisse dal calice. Questo provocò lo stupore dei pagani, che si convertirono.

Seguirono l’arresto di san Donato, la sua uccisione assieme ad altri cristiani, la distruzione dei libri e degli arredi liturgici, come spesso avveniva nella persecuzione di Giuliano.

Antimo, unico dei compagni martirizzati insieme a Donato, non venne sepolto a Pionta, nell’aretino, ma altrove. Si ritiene che Antimo, per sfuggire alla persecuzione, si fosse rifugiato nella val di Starcia e qui sia stato martirizzato e sepolto.

Storia dell’abbazia
La prima abbazia
La cripta della chiesa, sulla quale fu costruito il primo oratorio.
Il nucleo primitivo dell’abbazia di Sant’Antimo risale al culto delle reliquie di Sant’Antimo di Arezzo, alla cui morte, nel 352, sul luogo del suo martirio venne edificato un piccolo oratorio [senza fonte].

Nello stesso luogo sorgeva una villa romana: lo dimostrano i numerosi reperti di epoca romana come il bassorilievo con la cornucopia sul lato nord del campanile o alcune colonne nella cripta carolingia. L’incisione “Venite et bibite” invece farebbe pensare alla presenza di una fonte con proprietà terapeutiche. Nel 715 la chiesa era custodita da un prete della diocesi di Chiusi.

Nel 770 i Longobardi incaricarono l’abate pistoiese Tao di iniziare la costruzione di un monastero benedettino e gli affidarono anche la gestione dei beni demaniali del territorio. Le abbazie erano utilizzate come sosta dai pellegrini diretti a Roma, dai mercanti, dai soldati e dai messi dei re.

CARLO MAGNOCarlo Magno, di ritorno da Roma nell’781, ripercorrendo la grande via creata dai Longobardi, chiamata in seguito “Francigena” perché “strada originata dai Franchi”, giunse a Sant’Antimo e pose il suo sigillo sulla fondazione del monastero.

Quasi certamente la fondazione ad opera di Carlo Magno è da interpretare come una pura leggenda medievale. Il 29 dicembre 814 un documento di Ludovico il Pio, figlio e successore di Carlo, arricchisce l’abbazia di doni e privilegi. L’abbazia diventa a tutti gli effetti, un’abbazia imperiale.

Con l’impulso carolingio, la comunità inizia il suo periodo di apogeo. L’abate di Sant’Antimo è insignito del titolo di conte palatino (Conte e consigliere del Sacro Romano Impero).

L’esame delle carte imperiali, tra cui quella di Enrico III del 1051, e di quelle papali si contano numerosi territori chiese appartenenti o posti sotto la giurisdizione dell’abbazia: 96 tra castelli, terreni, poderi e mulini; 85 tra monasteri, chiese, pievi e ospedali dal grossetano al pistoiese passando da Siena e Firenze.
Il possedimento principale della comunità era il castello di Montalcino, dove il priore alloggiava in una residenza ora inglobata entro le mura della fortezza.

L’ampliamento e la nuova chiesa
Nel 1118 il Conte Bernardo degli Ardengheschi, cede il suo intero lascito “in toto regno Italico e in tota marca Tuscie” ad Ildebrando, figlio di Rustico, affinché lo trasferisca all’abbazia. Il monastero versa a Fortisguerra, fratello di Bernardo, 1000 libbre per l’accordo di non molestare più i monaci nel godimento della proprietà.

A memoria della donazione, questo evento è inciso sui gradini dell’altare maggiore, come “Carta Lapidaria”.

Nel 1118 inizia la costruzione della nuova chiesa, sotto la guida dell’abate Guidone. Il punto di riferimento più importante per il progetto della nuova chiesa è la grande abbazia benedettina di Cluny.

L’abate richiede l’intervento degli architetti francesi per progettare il nuovo edificio, che in parte si ispira alla chiesa benedettina del 1050 di Vignory.
Alcune sculture, la porta nord e quella sud, gli stipiti della sagrestia, alcuni capitelli collocati nella tribuna nord, altri capitelli, frammenti di decorazioni o pilastrini, fanno pensare all’esistenza di un edificio antecedente al XII secolo, quando iniziò la costruzione della nuova abbazia. Intorno al 1000 sarebbe stata edificata una chiesa, di cui rimane solo il campanile, costruito inizialmente staccato dalla navata, secondo la tradizione medievale.

Per questo motivo le seguenti modifiche del 1118 hanno tenuto conto di vincoli architettonici già esistenti, adeguando i volumi del presbiterio in modo da inserirlo tra il campanile e la Cappella Carolingia. La zona del coro risulta infatti più stretta del resto dell’edificio.
Verso la metà del secolo XII la costruzione della nuova abbazia è quasi completata, solamente la facciata non è ancora terminata.

Il “secolo d’oro” dell’abbazia
Montalcino, all’epoca sotto la giurisdizione dell’abate di Sant’Antimo, è presa di mira, per la sua posizione strategica, sia da Siena che da Firenze. La città di Siena infatti è impossibilitata ad espandersi a nord a causa di Firenze, sua acerrima rivale, e cerca nuove terre a sud.

il castello di RadicofaniNel luglio del 1145 i senesi costringono l’abate di San Salvatore a cedere alla repubblica di Siena il castello di Radicofani sulla via Francigena. Appoggiando la politica senese, papa Clemente III, nel 1189, assoggetta la pieve di Montalcino al Vescovo di Siena. Nel 1200, Filippo Malavolti, podestà di Siena, attacca Montalcino, che viene in parte distrutta.

Verso il declino
abbazia_sant_antimo_006Il 12 giugno 1212 con un accordo tra l’abate di Sant’Antimo, la città di Montalcino e Siena è sancito che l’abbazia deve cedere un quarto del territorio di Montalcino alla città senese.

Con la perdita di Montalcino l’abbazia perde il centro più importante della propria giurisdizione. Siena inizia ad intaccare i beni della comunità benedettina: nel 1293 i monaci possiederanno soltanto un quinto di tutte le antiche proprietà situate tra Montalcino e Seggiano.

Nel 1291 papa Nicolò IV ordina la fusione della comunità dell’abbazia con i guglielmiti. Questa decisione intendeva ridare vigore alla comunità religiosa di sant’Antimo. Dal 1397 al 1404 l’abbazia viene amministrata, retta e governata dal francescano Bartolomeo di Simone, vescovo di Cortona.

La soppressione di Pio II
Il 4 agosto 1439, l’abate Paolo è incarcerato per le sue scelleratezze. Nel 1462 nella Cappella Carolingia si riunisce per l’ultima volta il capitolo dei guglielmiti.

PAPA PIO IIPio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, nello stesso anno 1462 sopprime l’abbazia affidandone i beni al vescovo Cinughi, ordinario della nuova diocesi di Montalcino-Pienza, creata il 13 agosto.

Pio II voleva trasformare il suo paese natale, Corsignano, in una città rinascimentale, Pienza, dandole un vescovo, suo nipote, con territorio e dominio.

Nel 1870 l’abbazia di Sant’Antimo era abitata da un mezzadro, che alloggiava nell’appartamento vescovile, utilizzava la cripta carolingia come cantina, la chiesa come rimessa agricola e il chiostro per gli animali.

La rinascita
Lo stesso anno l’abbazia passa sotto la giurisdizione delle Belle Arti. Con sette campagne di restauro l’abbazia arriva a risultare allo stato attuale.

Le prime due, dal 1872 al 1873 e nel 1876 eliminano tutto ciò che alterava la struttura originaria e viene aperta la grande bifora dell’abside che ora illumina la chiesa.

Nel 1970-1973, nello stesso periodo in cui a Sant’Antimo vengono girate alcune scene del film “Fratello sole, sorella luna” di Franco Zeffirelli, le Belli Arti di Siena rifanno interamente il tetto della chiesa, cambiando quasi tutte le parti lignee delle capriate.

Tuttavia l’edificio, terminati i lavori di restauro, permane in stato di semi abbandono. Solo raramente la comunità parrocchiale del vicino paese di Castelnuovo dell’Abate, frazione di Montalcino, utilizza la chiesa per celebrarvi alcune funzioni.

Il ritorno dei monaci
Alla fine degli anni settanta il vescovo di Siena decide di ricostituire una comunità monastica a Sant’Antimo, e affida tale incarico a un gruppo di giovani sacerdoti provenienti dalla Francia.

Questi sacerdoti fondano, nel 1979, una comunità monastica ispirata alla regola dell’ordine dei canonici regolari premostratensi.

Con l’appoggio delle Belle Arti di Siena, del comune di Montalcino e delle vicine parrocchie di Montalcino e Castelnuovo dell’abate, iniziano nel 1990 dei lavori di ristrutturazione dell’edificio del vecchio refettorio, mirati a renderlo nuovamente abitabile.

Nel 1992, terminati i lavori di ristrutturazione, i monaci, a cui si sono uniti altri giovani, sia sacerdoti che laici, provenienti dalla Francia e alcuni dall’Italia, si insediano nell’abbazia.

Il 25 maggio 2015 i premostratensi annunciano che avrebbero lasciato l’abbazia di Sant’Antimo per trasferirsi in quella di Saint Michel de Frigolet, vicino ad Avignone, a causa del calo di vocazioni in Francia e per l’impossibilità di far crescere la comunità negli spazi di Sant’Antimo.

Nel gennaio 2016 ai premostratensi subentrano i benedettini olivetani provenienti dalla vicina abbazia di Monte Oliveto Maggiore.

La Cappella Carolingia, la Sala Capitolare e il chiostro
Dell’antica abbazia rimangono soltanto la Cappella Carolingia, attualmente sagrestia della chiesa abbaziale, ed i resti della Sala capitolare e del chiostro.

Cappella Carolingia
La facciata della Cappella Carolingia (a sinistra), la trifora della Sala capitolare e i resti del tracciato quadrangolare della galleria del chiostro.
Delle parti esterne della Cappella Carolingia si possono vedere soltanto l’abside e la facciata, poiché è addossata a destra dalla sala capitolare e a sinistra dalla chiesa abbaziale.

La facciata a capanna, si affaccia su quello che era il chiostro dell’abbazia ed è illuminata da una finestra a forma di lunetta (che è l’unica rimanenza dell’antico portale, attualmente murato) e dalla soprastante monofora ad arco a sesto ribassato; sempre nella facciata della cappella si apre la porta che, con una ripida scala, conduce nella cripta sottostante.

Invece, l’abside, che dà di fianco a quella della chiesa abbaziale, è anch’essa illuminata da una monofora ad arco, ma con l’aggiunta della sottostante finestra ad oculo che illumina la cripta.
L’interno della Cappella Carolingia è costituito da un’unica navata rettangolare coperta da due volte a crociera, anche se originariamente essa era a semplici capriate lignee. Lungo la parete di sinistra, ovvero quella che è addossata all’edificio in parte costruito sopra la sala capitolare, vi sono degli affreschi monocromatici raffiguranti scene della vita di San Benedetto da Norcia, dipinti nel XIV secolo dal pittore Giovanni d’Asciano. Nel presbiterio si trova il semplice altare in pietra, mentre lungo le pareti vi sono gli armadi in cui vengono riposti i paramenti sacri utilizzati durante le liturgie.
Al disotto della Cappella Carolingia vi è la cripta. Essa è costituita da due absidi contrapposte: una ad est, corrispondente a quella della chiesa superiore, con una piccola finestra a forma di occhio di bue che dona al locale la luce; una ad ovest che è una semplice nicchia semicircolare. Quattro colonne sormontate da pulvini sostengono la copertura e dividono lo spazio in tre navate.

Sala capitolare
Della sala capitolare dell’abbazia, ovvero il luogo dove si riuniva il Capitolo del Monaci, rimane ben poco.

Essa era molto importante perché nelle riunioni del capitolo, che si svolgevano la mattina presto, si leggevano delle biografie di santi dal Martirologio Romano, la Sancta Regula e si decideva quello che si sarebbe fatto durante la giornata.

Attualmente la sala è per metà inglobata (assieme ai resti del dormitorio, che si trovava al disopra di essa) da un edificio costruito dal vescovo Cinughi e per l’altra metà è priva delle volte e del piano superiore, però conserva ancora la bellissima trifora sorretta da colonnine con semplici capitelli.

Chiostro
Il chiostro sorgeva al centro del monastero ed era costituito da un peristilio che si apriva sullo spazio centrale con delle bifore. Attualmente di esso non rimangono più tracce.

Chiesa abbaziale
L’edificio più importante e meglio conservato di tutto il complesso è la grande chiesa abbaziale di Sant’Antimo. Essa, completamente in stile romanico, sorge lungo il lato nord del chiostro ed è orientata sull’asse est-ovest, con l’altare ad oriente.

Campanile ed abside
All’esterno, la mole della chiesa abbaziale è visibile da tutta la conca in cui si trova grazie alla sua notevole altezza (che all’apice della facciata tocca i 20,50 m) e, soprattutto, al suo campanile, che invece arriva 27,50 m all’altezza della terrazza.

La torre campanaria è preesistente rispetto alla chiesa attuale (infatti era del tempio degli inizi dell’XI secolo) e, per questo motivo, è attaccata alla chiesa; caso non unico, perché anche il campanile della Pieve di Maria Santissima dell’Assunzione di Stazzema che risale al 1297 è attaccato al livello dell’abside della chiesa, tanto che da quest’ultima si accede al fondo della torre; che però raggiunge un’altezza di 31 metri in cima alla cupola, escludendo la croce che la sormonta.
Assieme al campanile, caratterizzato dalle belle bifore e monofore che si aprono lungo le pareti, degna di nota è l’abside, che all’esterno appare in tutta la sua magnificenza e solennità. Essa è coronata dal deambulatorio di derivazione francese, le cui tre cappelle radiali hanno, come sostegni del tetto, delle bellissime mensole scolpite con vari soggetti, fra cui la testa di un monaco e quella di un’aquila.

Facciata
La facciata della grande chiesa è rivolta verso occidente ed è a salienti.

Al centro della fascia centrale, sotto la bifora e la monofora ad arco a sesto acuto, si trova il portale che doveva essere preceduto da un esonartece a quattro arcate (mai realizzato, sebbene, sulla facciata della chiesa, vi sono le tracce di dove dovevano poggiare le quattro volte a crociera del portico).

La grande porta d’ingresso è inglobata all’interno di una struttura a tettoia (frutto di un protiro incompiuto – posteriore al progetto del portico) ed è preceduto da una lieve strombatura. Al di sopra del varco d’ingresso si trova il bellissimo architrave scolpito raffigurante una pianta di vite.

Interno
abbazia%20sant%20antimoAll’interno la chiesa abbaziale dell’abbazia di Sant’Antimo, opera mirabile dell’architetto lucchese Azzo dei Porcari che è menzionato e ricordato come “uomo buono, ricco di virtù in Cristo, monaco, padre e poi decano (…) progettista di questa egregia aula” in un’inscrizione posta sull’architrave interno del portale, si presenta come un grande spazio in stile romanico.

L’aula è suddivisa in tre navate ed è terminata da un’abside semicircolare con deambulatorio, caso pressoché unico in Italia.

Navate
La navata maggiore della chiesa è coperta da una semplice volta a capriate lignee che recano le mezzelune dello stemma Piccolomini: infatti il tetto del tempio è stato rifatto durante il pontificato di Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, che affidò, dopo la soppressione dei Guglielmiti, l’abbazia al vescovo di Montalcino Cinughi.

Sulla controfacciata della chiesa si trova, al disotto del corridoio di collegamento fra i due matronei, un’iscrizione in cui viene citato l’architetto della chiesa:
(LA)
« Vir bonus in Christo magnis virtutibus Azzo cenobii monachus pater postique decanus istius egregiæ fuit auctor previus aulae atque libens operis portavit pondera tanti progenie tuscus Pocorum sanguine cretus pro quo christicole cuncti Deum rogitate det sibi perpetue cum sanctis gudia vite martir et eximus sit custos Antimus eius »
(IT)
« Azzo, uomo buono in Cristo, monaco, padre e poi decano fu il progettista di questa egregia aula e volentieri portò i persi di così grande opera; di progenie Toscano nato di sangue dei Porcari, per lui cristiani tutti pregate Iddio, che gli dia con i santi le gioie della vita perpetua a Sant’Antimo sia il suo esimio custode »

Ai due lati del portale vi sono i due leoni in travertino che avrebbero dovuto sorreggere le due colonne del protiro.

S. Antimo capitelloLa navata centrale è separata dalle due laterali da due serie di quattro archi sorretti da colonne monolite per lato, intervallati da un pilastro cruciforme fra le due serie di quattro archi a tutto sesto.

Le navatelle, che sono coperte con volta a crociera e contano ben dieci campate ognuna, accolgono in sé varie opere d’arte, come ad esempio il fonte battesimale in pietra (nella prima campata della navata sinistra) e l’affresco di Gesù in Croce con un Santo Vescovo Martire, San Sebastiano ed il committente in ginocchio (nella prima campata della navata destra), ma certamente la più bella ed importante è il capitello con “Daniele nella fossa dei Leoni”, opera del Maestro di Cabestany: in esso il maestro è riuscito ad assemblare e scolpire in uno spazio minimo tutte le scene salienti della vicenda biblica, che viene narrata nel capitolo 6 del Libro del profeta Daniele.

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